Fritz Lang
Vienna, 5 dicembre 1890 – Beverly Hills, 2 agosto 1976
È nel clima incerto ma inebriante di Weimar che, passato dalla sceneggiatura alla regia, Friedrich Lang approda ad un fortunato Destino (Der müde Tod, 1921) già scritto in stridenti contrasti – qui tra l’umanità e il Fato – cui darà ampio spazio in un cinema capace di trasformarsi, ovvero d’accomodarsi nel sistema dei generi di Hollywood quando la Germania si fa inospitale (1933), quanto fondato, alle origini espressioniste, su solide continuità: l’ossessione del tempo, la figura insondabile ed evanescente del criminale, la presenza invasiva d’una follia consumatrice sono in Dr. Mabuse, der Spieler (1922) e saranno nel leggendario Metropolis (1926), dov’è l’intervento della moglie, la Thea von Harbou futura tessera della NSDAP, a ridurre a conciliazione interclassista la rivolta della schiavitù operaia che il regista vorrebbe far degenerare in distruzione totale. Soprattutto, saranno nel capolavoro (sonoro) che conclude l’esperienza germanica e quindi pienamente espressionista di Fritz Lang, M, il mostro di Düsseldorf (M, 1932): il romanzo dei film precedenti s’invera in fatto di cronaca, il criminale s’incarna, tramite un Peter Lorre sovrumano, nell’uomo della strada che strazia bambine quand’è intrappolato nell’istante omicida d’una follia ineluttabile, nel Male irrimediabilmente radicato nell’animo umano su cui spietata e opportunistica s’abbatte la Giustizia fatta dalla criminalità.
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