Franz Schubert
Vienna, 31 gennaio 1797 – Ivi, 19 novembre 1828
Dal violino cui l’inizia suo padre, maestro elementare d’ascendenza contadina, Franz Schubert s’allarga al pianoforte, all’organo, la viola, e già compone prima d’entrare nel coro della cappella imperiale, nel convitto civico (1808-1813) dove studia, ascolta, esegue assai; la professione d’insegnante, cui accondiscende per sfuggire la leva, Schubert l’abbandona (1818), spontaneamente incapace, forse, degli incarichi pubblici che sempre sdegnerà, confermandosi nella miseria cui l’obbliga l’indifferenza prolungata degli editori, ma certo desideroso dell’integrale libertà creativa necessaria al furore compositivo che dal solo 1815 cava due Sinfonie, un Quartetto, due Sonate, due Messe, centoquarantaquattro Lieder per canto e pianoforte, e che lo consuma, uccidendolo precocemente anche più delle molte delusioni artistiche e sentimentali, della sifilide e delle “Schubertiadi”, epiche baldorie con gli amici. Furore poetico: più che nel teatro e nel sacro, con l’oggettivazione richiesta dai drammi, dalle Messe, l’austriaco e romantico Schubert è all’apice dove può immediatamente e naturalmente esprimere il proprio lirismo nel suo carattere squisitamente vocale; più che nelle sonate, dunque, nella musica strumentale da camera (Trio n. 2 D 929) e sinfonica (n. 8 «Incompiuta» D 759), di cui punto soffre l’architettura, e soprattutto nei prodigiosi Lieder (Il re degli Elfi D 328, Il viandante D 493), dov’è ineguagliato.
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