Frantz di François Ozon
con Paula Beer, Pierre Niney, Ernst Stözner, Marie Gruber, Anton von Lucke
Dramma romanzesco impregnato di Novecento per François Ozon, regista di 8 donne e un mistero e Nella casa, che nella sua ultima fatica si cimenta con una storia d’amore impossibile tra due anime distrutte dal dolore. Frantz, 16esima pellicola dell’autore francese, mette in scena una pièce teatrale di Maurice Roland che già Lubitsch portò nelle sale nel 1932 con il titolo L’uomo che ho ucciso, già, perché proprio attorno alla figura del defunto Frantz (A. von Lucke) nasce un balletto di menzogne, senso di colpa, riscatto morale e amore, nel senso più alto del perdono cattolico, che porterà Anna (P. Beer) ad aprire il suo cuore ad Adrien (P. Niney), l’uomo responsabile del suo dolore. Nella cornice bucolica della campagna tedesca prende il via una relazione che porterà i due idillici amanti a sfiorare il sogno di una felicità in comune, sogno infranto sul crudo lascito della guerra, fatto di astio e divisioni per tutte quelle morti insensate, testimoni del dramma postbellico di Germania e Francia che piangono i loro figli immolati per la patria, figli di una guerra che sono stati costretti a combattere.
François Ozon tratta un tema di ampio respiro e approfondimento, affrontando la prima guerra mondiale sul piano dell’amore improbabile tra Anna e Antoine tormentati dallo spettro della morte su cui è fondata la loro relazione e sul piano del figlicidio nazionale che ha spinto i padri tedeschi e francesi a mandare il loro figli incontro alla morte del campo di battaglia. La soluzione, per entrambe le problematiche, è il perdono, la comprensione dell’altro, la comunanza nella misera condizione in cui li ha posti il loro tempo. Tuttavia, il perdono non cancella il sangue versato e la relazione tra i due protagonisti non potrà mai prendere una piega diversa dall’afflizione sulla quale è nata, nulla potrà la dolce amicizia che si crea tra Antoine e Anna né tantomeno la comprensione l’uno dell’altro: la storia è destinata a percorre il vicolo cieco di un sentimento che non portarà a nulla di buono, se non cambiando strada e trovando la felicità in percorsi di vita destinati a dividersi.
Imperniato sulla risonanza visiva evocata da Le suicidé di Manet, il film adopera espedienti eruditi nella costruzione dei personaggi, ammantando i ricordi di Frantz con il suo delicato gusto poetico e sottolineando l’epifania di Anna davanti al quadro impressionista
Coinvolgente nella narrazione fino alla più importante svolta narrativa, dopo la quale segue il dipanarsi assai canonico di una trama a cui lo spettatore fa da testimone indifferente, annacquato da citazioni letterarie e imperniato sulla risonanza visiva evocata da Le suicidé di Manet, il film adopera questi espedienti eruditi nella costruzione dei personaggi, ammanta i ricordi di Frantz con il suo delicato gusto poetico e sottolinea l’epifania di Anna davanti al quadro impressionista di un uomo morto suicida. Sebbene Ozon ci delizi con il piacere della cultura, questi rimandi licenziosi si scoprono caduchi sotto il vento impetuoso della sceneggiatura: senza alcun peso nella definizione dei personaggi, restano degli ammennicoli posticci di interessi e gusti personali che non fondano l’azione né la motivazione di determinate scelte e si presentano piuttosto come vezzi e capricci di un autore navigato.
Nel bianco e nero espressivo e carico di connotazioni psicologiche di Pascal Marti (Giovane e bella, Una nuova amica), ormai collaboratore abituale di Ozon, la scelta cromatica del regista francese di raccontare una vicenda desaturata da ogni lieto fine viene a sprazzi interrotta da lampi di colore che non arricchiscono la pellicola in quanto ad originalità e freschezza, quanto piuttosto la relegano ad un andamento didascalico e banale che oscilla tra i momenti cupi e tristi del bianco e nero e gli sprazzi gioiosi e saturi dei momenti felici. Sciagurato forse anche il doppiaggio in italiano che non rende omaggio alle interpretazioni originali e alle sfumature attoriali, che emergono in pieno quando le scene in lingua francese vengono saggiamente accompagnate da sottotitoli. La recitazione è magistralmente diretta da Ozon che accompagna la storia con una regia pulita e mai invadente, tesa a sottolineare il dramma umano e personale che le conseguenze insolite di una vicenda più grande di noi ci obbligano ad affrontare. Frantz racconta la possibilità di essere ancora felici, se non con gli altri, ritrovando quantomeno l'amor proprio e la voglia di vivere e, nonostante queste piccole annotazioni di stile, il film si presenta in tutta la raffinatezza di Ozon, quella tipica a cui il regista francese ci ha abituato.
«Conoscevi Frantz?»
«Si»
«Pensi ancora a lui?»
«Come potrei dimenticarlo?»
FRA-GER 2016 – Dramm. 113’ ★★★
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