Forme d'autore | Cinque racconti di arte urbana
La prefazione alla raccolta di racconti Forme d'autore, cinque scrittori per cinque opere d'arte contemporanea
Nel film svedese The Square, palma d’oro a Cannes, un grande quadrato luminoso viene installato di fronte al museo di arte contemporanea X-Royal Art Museum. Gli operai incidono le pietre del pavé con una sega circolare per inserire l’opera nella pavimentazione storica e quel quadrato – The Square, appunto – riscrive completamente la geografia della piazza. L’arte contemporanea è spesso opera illeggibile, ma quando le sue espressioni prendono vita negli spazi urbani accade qualcosa di magico: quegli stessi spazi che fino a qualche giorno prima erano anonimi e quotidiani diventano caratterizzati, polarizzanti. Accade ancor di più con le opere plastiche, che oltre ad occupare le superfici, come il quadrato del film, si muovono negli spazi, si fanno largo in quello che prima era un vuoto e lo riempiono con nuove forme e significati. Lontane dalla dimensione puramente illustrativa e celebrativa della scultura classica, le sculture contemporanee danno vita a percorsi inimmaginati: intorno alle opere nascono domande, nascono storie, e a volte sono le opere stesse ad ispirarle.
È il caso di questo volume, venuto alla luce per celebrare il decennale dell’opera Tempo di Dani Karavan, in cui cinque giovani scrittrici e scrittori hanno immaginato una Piana diversa, un luogo letterario ancor prima che geografico che partisse dalle sculture per raccontare storie. Da Firenze a Pistoia, il percorso del libro si snoda attraverso cinque città e cinque opere di arte contemporanea, una per ogni racconto: il rettangolo di Folon, l’ovale di Aziz, il cerchio di Karavan, il quadrato di Moore, la mezzaluna di Ruffi. Cinque forme d’arte plastica che vivono lo spazio cittadino e lo deformano, rileggendone gli equilibri attraverso le proprie conformazioni. Se le forme e i lineamenti, ci siamo chiesti, ispirano ai cittadini nuovi nomi – così Forma squadrata con taglio di Moore per tutti è diventata “Il buco”, Partir di Folon “La valigia”, Il sole di Fuad Aziz “La maschera” – perché non lasciare che ispirino a uno scrittore nuove storie?
Il modo in cui le sculture abitano i luoghi della città è misterioso e sfuggente, e ognuna – nelle piazze, tra le case, nei giardini – dialoga con lo spazio circostante in modo diverso
D’altronde, il modo in cui le sculture abitano i luoghi della città è misterioso e sfuggente, e ognuna – nelle piazze, tra le case, nei giardini – dialoga con lo spazio circostante in modo diverso. Così fanno le cinque sculture che abbiamo scelto. La valigia di Folon inquadra i tetti di Firenze, il Palazzo Vecchio e il campanile di Giotto, mentre le fronde degli ulivi e dei cipressi tagliano fuori l’immagine tanto abusata della Cupola del Duomo. Uno scorcio visibile solo dal verde idilliaco del Giardino delle Rose che chi guarda può portarsi via, magari su quella nave che solca le onde al centro della valigia. La scultura scompare, quasi che l’artista voglia fare della sua opera una cornice, non l’oggetto del nostro sguardo ma il margine che ingabbia la tela: il quadro è già lì, perfetto, Firenze. Non è l’unico, anche Prato si offre alla vista nel taglio della sua forma squadrata. L’opera di Moore al centro di Piazza San Marco è bianca e sinuosa e a guardarci dentro sembra una serratura che apre su Viale Piave, e il marmo intorno una porta posta laddove un tempo sorgeva Porta Fiorentina, abbattuta nel 1886 per far spazio alla tramvia adesso scomparsa. La tramvia che scorre invece nuova di zecca a fianco della maschera di Fuad Aziz, in Piazzale della Resistenza a Scandicci. La stella al centro della fronte punta lontano, e con gli occhi vuoti e severi il volto del sole immaginato dall’artista curdo sembra vegliare sulla piazza alle sue spalle, con i grandi spazi e le timide fontane che s’illuminano di notte. Una luce a volte potente a volte fioca, come i raggi blu notturni dell’enorme ruota di Karavan all’uscita del casello di Calenzano. Con i dodici lunghi raggi riproduce il moto circolare delle auto che avvolgono da mattina a sera la rotatoria dove poggia, eppure la scultura è immobile e pacifica, nella serenità con cui guarda dall’alto dei suoi diciotto metri le colline circostanti. L’acciaio corten col suo colore bruno ricorda il legno delle vecchie ruote agresti e le dà il sapore, pur nella sua imponenza, della campagna più semplice. È lo stesso colore della luna di Gianni Ruffi, in piazza Giovanni XXIII a Pistoia, una luna inghiottita per metà in un pozzo che c’era davvero, in quella stessa piazza, tanti anni fa. Osserva in un angolo, piegata su se stessa, l’abbagliante fregio robbiano dell’antico Ospedale del Ceppo, quasi timorosa della grandezza dell’opera dei della Robbia. La sua riverenza però non l’ha salvata dalle critiche dei cittadini, che la considerano fuori luogo.
Viene vista spesso così, l’arte contemporanea, soprattutto nelle città della Piana che scoppiano d’arte rinascimentale, paesaggi rurali, monumenti storici e palazzi medievali: fuori luogo. Non si sa che farci, e per questo con grande spirito toscano la prima reazione è la goliardia, la manipolazione. A Prato è leggenda l’impresa del Chiavaccio, che negli anni Settanta tappò il buco della scultura di Moore con un enorme tappo di sughero per impedire – così scrissero – alla tramontana di soffiarci dentro; al sole di Aziz a Scandicci crebbero un paio di baffi a manubrio per mano di qualche burlone che trasformò il volto della statua in un’imponente e buffa maschera di Dalì; persino la protesta di un gruppo politico contro la luna nel pozzo a Pistoia si trasformò in una trovata goliardica, con la luna imbustata con un telo e un comunicato in cui la si chiamava “Monumento alla ruggine”. A Calenzano, dopo che la ruota di Karavan fu inaugurata, il primo ricordo di tutti è il grosso striscione appeso ai raggi che diceva “Chissà quanto è grande il criceto”.
Con Forme d’autore abbiamo voluto, per una volta, lasciare che ci ispirasse non solo ironia ma poesia, liberando l’immaginazione letteraria in cinque racconti
L’arte contemporanea insomma, persino quando viene presa in giro, stimola l’immaginazione e la creatività in modi inconsueti. Con Forme d’autore abbiamo voluto, per una volta, lasciare che ci ispirasse non solo ironia ma poesia, liberando l’immaginazione letteraria in cinque racconti. I personaggi delle storie contenute in questo libro sono uomini, donne, bambini che toccano le sculture, le abitano, le osservano da prospettive diverse in un dialogo a volte reale a volte metafisico. Per tutti quelle sculture sono allo stesso tempo abitudine, routine nelle geografie dei loro sguardi urbani, e un oggetto che il quotidiano lo spezza, con la misteriosità dello slancio artistico. Nell’incontro con le opere d’arte, nella loro riscoperta, i protagonisti riscoprono se stessi e il rapporto con le persone e i luoghi della loro vita. Così come li hanno riscoperti, guardando le sculture con occhi nuovi, i cinque autori – Benedetta Bendinelli a Firenze, Selene Mattei a Scandicci, Elisabetta Meccariello a Calenzano, Arzachena Leporatti a Prato, Andrea Cassini a Pistoia. Per lasciarsi ispirare, c’è chi ha guardato qui e chi oltre, chi ha guardato attraverso, chi dietro, chi dentro: queste sono le storie che hanno visto.
Formiche di Benedetta Bendinelli
L'equazione impossibile di Selene Mattei
Trenta chilometri al secondo di Elisabetta Meccariello
Il mio cuore bucato di Arzachena Leporatti
Il mondo a testa in giù di Andrea Cassini
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