Forconi

La caccia alle streghe della gente comune

«Le strade eran di nuovo sparse di crocchi: fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri si radunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte voci: per tutto lamenti, minacce, meraviglie: un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi», scriveva il Manzoni più di un secolo fa. Anche oggi, tuttavia, le parole sono ben poche, e per di più inflazionate, gridate o vergate con mano incerta sugli striscioni: c’è la gente, ci sono il potere, i poteri (meglio se forti), ma anche il mito del popolo, quello nobile ma ancora più evanescente della democrazia, e della rivoluzione e poi gli anatemi contro le tasse e i politici (tutti uguali, ovviamente) e, dulcis in fundo, immancabile, la casta. Ma sono parole del tutto prive di significato, urlate al vento nei megafoni, tra un’invettiva e un lacrimogeno, tra una carica della polizia e una minaccia dei facinorosi. Parole inconsistenti, ma sufficienti ad animare una protesta, quella dei forconi, che si trascina da giorni, e che non è nient’altro che un turbamento marginale per il Paese.
È complesso, se non impossibile, cercare di capire quello che sta accadendo nelle piazze. Probabilmente, non lo sanno nemmeno gli stessi manifestanti. Certamente c’è la sensazione di essere contro qualcosa. Un’idea di avversione che dilaga disordinatamente dalla Sicilia, dove tutto ha avuto origine, al profondo Nord, con Torino che si è improvvisamente scoperta teatro di scontri e di ammutinamenti e con i valichi montani bloccati dai camionisti. Ed è nell’idea di un’estemporanea ondata di disagio esacerbato che in molti hanno trovato un appiglio estremo. Operai, imprenditori, studenti, disoccupati, cassintegrati. Ma anche estremisti, scioperati, violenti ed esagitati. Tutti convinti di essere accomunati da qualcosa di sovversivo, persuasi di essere legittimati a qualsiasi azione, in nome del riscatto sociale. La rete diffonde accorati appelli alla partecipazione, che sono uno stillicidio di oscenità grammaticali, e un tripudio di ingenuità e inconsistenza.

Si risveglia dal torpore il patriottismo occasionale, esibito platealmente con bandiere superstiti di qualche partita di pallone. La nostalgia canaglia blandisce languida gli animi dei più miopi. I discorsi trasudanti retorica spicciola sciolgono i cuori e obnubilano la mente. All’orizzonte, miti e spettri del passato si sovrappongono. Nel disordine della piazza, è più facile farsi coraggio e unirsi alla bolgia. Riscoprire un cameratismo ormai in disuso, richiamare alla mente i tempi andati, professare lo sdegno per  il Sistema e i suoi attori. Dello sfascio contemporaneo sono tutti responsabili, fuorché coloro che sono in piazza.
Le anime della protesta sono molteplici. Il trait-d’union è l’assenza di finalità concrete, di proposte. A scanso di equivoci, dalle pagine di Repubblica, uno dei molti capi della disperazione, l’imprenditore Lucio Chiavegato, conferma che le proposte non ci sono, in effetti, ma «arriveranno. Adesso servono i presìdi, la protesta». Ma l’assenza di finalità, che dovrebbe teoricamente favorire la coesione, suscita invece lacerazioni. In pochi giorni, il disordine è manifesto anche nell’organizzazione. Non c’è una linea comune da seguire, e i leader si dividono. Dopo la proposta di un’evocativa marcia su Roma, Danilo Calvani si trova isolato da una parte del coordinamento. Lui, che come un cancelliere Ferrer del giorno d’oggi arringa la folla di disperati mentre è a bordo di una Jaguar, e ai giornali promette iniziative di impatto. Nella stessa condizione si trova Andrea Zunino, che qualche giorno addietro rilasciò dichiarazioni deplorevoli su “banchieri ebrei” che renderebbero schiava l’Italia.

Qualcuno davvero disperato c’è davvero, nella folla. Ma la maggior parte non sanno nemmeno rimboccarsi le maniche, e colgono l’occasione per manifestare agli occhi del Paese la loro rabbia sconsiderata. Forti dell’anonimato della moltitudine, dimenticano il dialogo, e scelgono di passare alle minacce e alle violenze. Costringono automobilisti e autotrasportatori a fermarsi. Obbligano commercianti a sprangare i negozi. Accerchiano chi dissente. E se davvero avessero avuto qualche vera ragione per protestare, non possono avere più attenuanti. Che ci siano gruppi di estremisti infiltrati tra i manifestanti, oppure che abbiano aderito spontaneamente alla luce del sole alla protesta poco importa, fintanto che la massa non riuscirà ad isolarli.
La violenza di questi giorni, infatti, non è che un oltraggio per il resto del Paese. La maggioranza, infatti, non è quella che è scesa in piazza. È quella che ha continuato a lavorare, o a cercare un impiego, o semplicemente a comportarsi civilmente. Facendosi carico con coraggio delle difficoltà innegabili che si presentano ogni giorno. Industriandosi per superarle. Scegliendo, ancora una volta, la strada del dialogo, per quanto, soprattutto con le istituzioni, questo possa rivelarsi monodico. Invece, la protesta insensata, degenerata, seppure forse per molti condivisibile nelle poche premesse che aveva, ha creato disagio e nient’altro. Certo è che, nonostante tutto, un simile dissenso non è da sottovalutare.

Ma c’è chi addirittura lo cavalca, questo dissenso, oggi più che mai. Il Cavaliere da una parte e Grillo dall’altra non hanno perso tempo, e si sono affannati immediatamente a raccogliere consensi. Se per il leader di Forza Italia bisogna comprendere quelle “ragioni profonde” che animano la protesta, il comico prestato alla politica, invece, esorta all’insubordinazione le forze dell’ordine, e solidarizza così con i manifestanti. E, in ultimo, anche il neosegretario della Lega Nord, Matteo Salvini, dichiara il proprio appoggio ai forconi, lord «a confronto dei ladri di Bruxelles». A questo punto, è verosimile che le anime della protesta cercheranno protezione politica.
In un panorama così indistinto, nessuno può dire dove questa iniziativa di protesta porterà, se si esaurirà nel nulla oppure se avrà un seguito più colorito. Lo spirito del popolo santa canaglia arde di rabbia mal repressa, ma si dimostra inconcludente e ignorante. Per adesso, la protesta si è rivelata un fallimento, oltre che un insulto verso chi ogni giorno si impegna per cambiare davvero le cose.


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