Finalmente ha vinto la sinistra

Dopo anni di lotte interne e scissioni il centrosinistra di Pd e LeU torna nel suo luogo prediletto: l'opposizione

Finalmente ha vinto la sinistra, e in grande stile come piace a lei: contro se stessa. C’era riuscita nel referendum del 4 dicembre, ma non è mai una vera vittoria di sinistra se non perdi le politiche. E le politiche 2018 il centrosinistra le ha perse in maniera spettacolare, con il 10% di voti in meno rispetto al 2013. Sarà contento Renzi che riconosce la sconfitta senza fare un passo indietro dalle scelte che l’hanno causata, sarà contento D’Alema che gioiva della scissione e adesso non entrerà neanche in parlamento, sarà contento Pippo Civati, che uscì per primo dal Pd di Renzi per gli inciuci con il centrodestra e ha finito per fondare Liberi e Uguali con gli stessi di sempre e prendere la metà netta dei voti previsti. Ancora una volta per il bene della propria identità la sinistra ipoteca il bene dell'Italia. Si fosse poi capito, qual è l’identità della sinistra contemporanea, sarebbe già un passo avanti, mentre si continua a scindersi e a rifondare senza sosta, alla ricerca infinita della sinistra quella vera. È forse la ricerca della vera sinistra essa stessa la sinistra? Non si sa, si sa soltanto che l’incarnazione della vera sinistra sono stati, in ordine: il Partito Democratico di Veltroni poi Rivoluzione Civile di Ingroia poi Liberi e Uguali di Grasso poi Potere al Popolo poi Per una sinistra rivoluzionaria – non l’avrete notato, ma sulla vostra scheda elettorale c’erano anche loro: hanno preso lo 0.09%. A forza di scindersi si scoprirà che la vera sinistra è un certo Marco Rossi di Voghera, ma sembra difficile che possa superare da solo la soglia di sbarramento del 3 percento.
 

Quando si tratta di unirsi in politiche comuni per il futuro del paese non si presenta nessuno, ma quando c’è da parcellizzarsi e frammentare un’area politica sono tutti in prima linea


Perché quando si tratta di unirsi in politiche comuni per il futuro del paese non si presenta nessuno, ma quando c’è da parcellizzarsi e frammentare un’area politica sono tutti in prima linea. Dentro Liberi e Uguali, è bene ricordarlo, ci sono cinque anime e tre partiti diversi: Articolo 1 di Rossi, Speranza, Bersani e D’Alema, Possibile di Pippo Civati, Sinistra Italiana formata da Sel di Vendola e Fratoianni e Futuro a sinistra di Fassina. Tutti questi, insieme, non arrivano al 3.5%. Chi rappresentano, cosa rappresentano? Soltanto se stessi e le proprie lotte, funzionali a conquistarsi spazi maggiori all’interno del partito e del parlamento. Non è neanche questione di percentuali – pur unendo i voti di Partito Democratico e Liberi e Uguali non si arriverebbe al 25% (potremmo considerare nel conto anche Insieme, l’unica altra lista politicamente affine in coalizione con il Pd, se non avesse preso lo 0.6%) – ma questione di credibilità. Il centrosinistra è caduto rovinosamente perché non ha alcuna credibilità agli occhi dei cittadini. Che cosa deve pensare un elettore di centrosinistra (ma anche un cittadino qualunque che sostiene altre forze politiche) che vede un partito proporre una legge, indire un referendum per dire SÌ o NO a quella legge e poi fare campagna elettorale contro se stesso? Che cosa deve pensare di D’Alema e Speranza che vanno in tv festeggiando e ridendo felici per la caduta del governo del proprio partito per poi uscire dalle sue file? Come fa a sentirsi rappresentato, oggi, da un’area politica che, incapace di mettersi d’accordo con se stessa, finisce per consegnare il 37% del paese nelle mani di una coalizione capeggiata da una fascista, un razzista e un criminale?
 

Come fa un elettore di centrosinistra a sentirsi rappresentato da un’area politica che incapace di mettersi d’accordo con se stessa finisce per consegnare il 37% del paese nelle mani di una coalizione capeggiata da una fascista, un razzista e un criminale?


Il partito maggioritario, a sinistra, è finito soltanto un punto percentuale sopra la Lega di Matteo Salvini, capace di affermare che «c’è bisogno di una pulizia di massa, anche in Italia: via per via, quartiere per quartiere, piazza per piazza». Ma la priorità del centrosinistra non è coalizzarsi in maniera solida contro queste idee, rispondere, in coro, che il razzismo fa schifo e che concetti simili non devono avere spazio nel nostro paese – in piazza a Macerata dopo l’attentato di Luca Traini c’erano soltanto Civati e Fratoianni. Non è, dopo i passi avanti con unioni civili e testamento biologico (e i mezzi passi falsi di Buona scuola e Jobs Act), continuare a discutere seriamente dei tanti problemi dell’Italia come l’immigrazione, le tasse e la disoccupazione senza cedere alla retorica della sicurezza e del decoro – la stessa retorica che porta i cittadini ad indignarsi per due fioriere rotte a Firenze, facendo passare in secondo piano l’omicidio di Idy Diene. La priorità è invece lo scontro interno, il battibecco, gli screzi pubblici e le scissioni. Perché oggi e negli anni non si è (o non si è stati) in grado di discutere in seno al partito e scegliere una linea comune invece che litigare in piazza davanti agli occhi dei cittadini? Perché la maggioranza renziana (leggi Pd di oggi) ha continuato a spingere, forte della bolla del voto alle europee, senza mai cercare effettivamente il dialogo con le altre componenti? Perché la minoranza (leggi i fuoriusciti di Articolo 1, Possibile, Sinistra Italiana) prima ha fatto quotidianamente dichiarazioni pubbliche che minavano la serietà del partito e poi, una volta fuori, non ha cercato in alcun modo di formare una coalizione che desse una possibilità di governo ai propri elettori? C’è chi dice, nel Pd, che dopo queste elezioni il centrosinistra dovrà reimparare a fare opposizione. Non è chiaro, a noi elettori, quando avrebbe smesso.


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