Filippo Buonarroti
Pisa, 11 novembre 1761 – Parigi, 16 settembre 1837
«Il più grande cospiratore del secolo» (Bakunin) vive da buon suddito granducale finché nell’affatto eversiva massoneria lorenese scopre Rousseau e s’inebria d’Uguaglianza e Democrazia: nella struttura precapitalistica, nella piccola proprietà terriera della Corsica cui lo chiama la Rivoluzione, Filippo Buonarroti trova materia per l’afflato d’egalitaria palingenesi che sempre crederà realizzarsi nel Terrore, tutt’uno col mito di Robespierre. Caduto con la sua testa, già onoratissimo citoyen Buonarroti conosce nelle carceri del Termidoro François-Noël Babeuf: sua l’utopia d’una comunistica «Repubblica», dunque il disegno d’una «congiura» des égals cui Buonarroti s’allaccia. Ma sfugge al patibolo; grazie all’antica familiarità con Saliceti e Bonaparte, vive l'Impero sostanzialmente indisturbato finché Waterloo vomita l’esecranda Restaurazione: da Ginevra, poi da Bruxelles (1824), Buonarroti tenterà di piegare la brama di patria allora esplosa alla realizzazione dell’ideale suo giovanile – affidato repubblicano e comunista a La conspiration pour l’égalité, dite de Babeuf (1828) – coi mezzi cospirativi d’una disarticolata galassia di sette e società segrete (dai Sublimi maestri perfetti al Mondo) sottoposta al suo dispotico comando di ermetico narcisista. Dal suo esempio di «pedagogia rivoluzionaria», l’Italia carbonara cava laconico dirigismo, pochezza morale, mafiosità piramidale, buffonesche messinscene – fallimenti; l’Europa, la figura mitica, ancorché efficace, del rivoluzionario di professione.
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