Federico Fellini
Rimini, 20 gennaio 1920 – Roma, 31 ottobre 1993
Scrive di varietà per Fabrizi, sceneggia per il Rossellini di Roma città aperta e approda dietro la macchina da presa in Luci del varietà (1950), co-diretto con Lattuada, il Federico che ne Lo sceicco bianco (1952) fonda su base neorealista quella visione onirica del mondo dello spettacolo e della vita che farà di lui Fellini. Grazie al successo de I Vitelloni (1953) – trampolino del Sordi al cui mito contribuisce – troverà in De Laurentiis i mezzi per fare La strada (1954), opera tutta felliniana che vincendo il primo di quattro Oscar al miglior film straniero lo impone sulla scena internazionale. Qui rimarrà raggiante, continuamente oscillando tra il racconto della Roma decadente de La dolce vita (1958) e la riflessione sul fare cinema di 8 ¹/² (1963), con Mastroianni come insuperabile alter ego. Se con Amarcord (1973) – ennesima parola, con vitelloni, paparazzo, dolce vita, che il suo cinema presta all’uso comune – Fellini conferma l’impatto sulla cultura italiana ed internazionale, con Intervista (1987) dà il commosso commiato al mestiere e allo spazio in cui il proprio immaginario ha preso vita: il Teatro 5, suo tempio di Cinecittà dove alla morte, pochi mesi dopo l’Oscar alla carriera, gli sarà allestita la camera ardente.
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