Ezra Pound
Hailey, 30 ottobre 1885 – Venezia, 1º novembre 1972
Se quando a Londra (1909) avvia un progetto di palingenesi della società già lega all’arte l’economia, Ezra Loomis Pound si consacra alle lettere e da traduttore prodigioso e critico polutropon definisce nell’imagismo una poesia che colga l’immagine in virtù d’una lingua occidentale che il nitore semantico degli ideogrammi, la chiarezza della scienza e della tecnologia rinnovino, disperdendone le ombre metafisiche. Punto nodale della rete di modernità che unisce Yeats, Eliot e Joyce, dopo l’incontro col socialismo corporativo d’Orange Pound trova occasione nell’etnologia di Frobenius, quando da Parigi (1921) è già passato a Rapallo (1925), di radicalizzare con la riflessione economica una critica dell’usura così corredata d’antisemitismo; l’avvicinarsi progressivo al regime di Mussolini sfocia, scoppiata la guerra, in discorsi all’EIAR ove il poeta sbrana Roosevelt e vagheggia un mondo restituito dall’avarizia alla mitica pax saturnia che gli suggeriscono certe componenti rurali del fascismo. Internato a Pisa dai compatrioti con l’accusa di tradimento, quindi per dodici anni nel manicomio criminale di Saint-Elizabeth per infermità mentale, Pound vorrà finire in Italia: a questa, oltre l’idolo politico d’una destra, lascia con sé l’ultima e aperta sezione dei The Cantos, il poema epico che per cinquant’anni ha raccolto la multiforme vicenda della sua poesia.
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