Essere Woody Allen

Cos'è diventato il cinema del regista newyorkese a cinquant'anni dal suo primo film

1 dicembre 1935, Bronx, New York, luogo e data di nascita di Allan Stewart Königsberg, poi Heywood Allen, ma per noi tutti Woody Allen, clarinettista, umorista, scrittore, commediografo, attore e regista cinematografico e teatrale con oltre cinquant’anni di attività e più di quaranta pellicole all’attivo; oltre questo ebreo, ateo, nichilista, ossessivo, paranoico, ansiogeno, instancabile lavoratore, assiduo lettore, genio tormentato, artista brillante e portatore di occhiali dalla montatura interessante. Tutti quanti hanno avuto modo di apprezzare le straordinarie opere di questo artista che da più di mezzo secolo ci intrattiene e ci tormenta con le sue storie, fino ad arrivare a far parte di quel gruppo di autori il cui solo nome basta ad invogliare lo spettatore a mettersi comodo in poltrona e vedersi 90 minuti di film. Per non parlare poi della critica che è obbligata sempre a tener conto del nome dell’autore ancora più che del prodotto in sé, anche se è quasi inevitabile che prima o poi quest’ultimo non riesca a rendere giustizia al primo. Per alcuni è fisiologico, nel caso di Woody più di tutti, ma anche in questo lui si è distinto spingendosi al di là di molti mostri sacri divenuti oggetto di critiche per l'evidente deterioramento della loro opera, e che non si ostinano a mollare. Il rapporto personale di Allen con i propri lavori lo ha reso talmente dipendente da renderli il vero specchio della sua vita, così da non poterlo mai realmente tradire.

Ebreo, ateo, nichilista, ossessivo, paranoico, ansiogeno, instancabile lavoratore, assiduo lettore, genio tormentato, artista brillante e portatore di occhiali dalla montatura interessante

L’ultima fatica di Allen, fino a pochi giorni fa nei cinema di tutta la penisola, è Café Society, la storia di Bobby, giovane di belle speranze di un’umile famiglia ebrea newyorkese che decide di trasferirsi ad Hollywood in cerca di fortuna, appoggiandosi a suo zio, uomo influente nel mondo del cinema, ma finisce invece per trovare Vonnie, una delle segretarie dello zio, e se ne innamora follemente. Inizialmente non ricambiato dalla ragazza, l’amore tra i due alla fine sboccia, ma ovviamente non avrà un lieto fine. Il ragazzo è entrato nel mondo della Café Society e troverà fortuna anche tornando a casa, dove incontra anni dopo la ragazza rinnovando un sentimento destinato a non scomparire mai del tutto, ma che trova sfogo soltanto nel mondo dei sogni e delle belle illusioni senza mai riuscire a trasformarsi in una relazione reale. Parallelamente a questo film, Allen, tenendo fede ai ritmi serrati che hanno sempre contraddistinto la sua opera, ha deciso di buttarsi in un’esperienza inedita, e nel suo caso questo non è un particolare trascurabile, come quella di scrivere, dirigere ed interpretare una serie televisiva. In collaborazione con Amazon Studios Allen ha partorito Crisis in Six Scenes, serie tv autoconclusiva di 6 puntate. Siamo nel pieno periodo dei movimenti giovanili e politici degli USA degli anni ’60 e Leanne Dale, la fuggitiva leader di uno dei movimenti di estrema sinistra più pericolosi, cerca rifugio presso la casa dei coniugi Muntzinger, rovinandone per sempre la tranquillità. Tutto ciò innesca un vortice di avvenimenti nei quali gli ideali politici della ragazza toccheranno molto sia la signora Muntzinger, con il suo pittoresco gruppo di lettura, sia il giovane Allen, l’amico di famiglia innamorato di Leanne, provocando la rabbia e alterando la vita emotiva del signor Muntzinger, visto come il borghese esempio dell’America da combattere. In questi due lavori, così come in tutti gli altri della sua lunga carriera, sono rintracciabili delle tematiche ricorrenti, che ci forniscono le chiavi di lettura per un’analisi delle sue opere. Woody Allen nasce come comico ed autore satirico e, come tale, rispetta in pieno lo schema di genere rintracciabile nel bagaglio di ogni professionista che si occupa di satira, ovvero l’ironia come mezzo di esposizione di ogni argomento affrontato, in questo caso un’ironia intellettuale molto frizzante ma che nasconde, più o meno bene, un nichilismo sconfinato, un’esagerazione esasperata che porta ogni segmento narrativo a diventare grottesco e, a volte, addirittura disturbante per le immagini evocate e la presenza costante dei tre campi di interesse canonici della satira: politica, sesso e religione. La sua maestria nasce non solo dalla grande padronanza che ha delle caratteristiche sopracitate, ma anche dalla capacità di abbattere le barriere canoniche del genere per avventurarsi in nuovi terreni, più vicini alla filosofia, alla psicoanalisi, all’esistenzialismo e allo studio della natura umana con l’aggiunta di molti spunti autobiografici come l’uso di personaggi che per professione fanno i prestigiatori (Magic in the Moonlight o Scoop) o i clarinettisti (Il dormiglione) e il grande amore per la scrittura (Manhattan, Amore e guerra, Harry a pezzi  e Midnight in Paris). Una menzione particolare in questo senso la merita indubbiamente Io e Annie, essendo l’unico film da lui girato interamente basato sulla sua vita personale.

La sua maestria nasce anche dalla capacità di abbattere le barriere canoniche del genere per avventurarsi in nuovi terreni, più vicini alla filosofia, alla psicoanalisi, all’esistenzialismo e allo studio della natura umana

Si è detto che Café Society è una pellicola che può fare da esempio per l’analisi del cinema di Allen, soprattutto per quanto riguarda la fase più recente. Facendo un’analisi della struttura della trama troviamo il triangolo amoroso classico composto da ragazzo, ragazza e uomo maturo, ricorrente in altri lavori come Hanna e le sue sorelle, La rosa purpurea del Cairo, Amore e guerra, Basta che funzioni oppure il più recente Irrational man, incentrato su un gioco di seduzione che vede sempre le donne dominare infine su tutti gli uomini, siano questi grandi filosofi decadenti o giovani rampolli pieni di ardore per la vita. Le decisioni della ragazza nella scelta tra i due pretendenti, il percorso di vita del protagonista Bobby e il finale della storia d’amore sono tutti elementi narrativi che fanno riferimento a quello che è il nucleo centrale di tutti i lavori di Allen: i principi, la morale, i sentimenti degli uomini sono ambigui, incoerenti e spesso fini a se stessi, come è l’uomo in sé e come è anche la vita che l’uomo conduce. Allo stesso modo il film è degno esponente della sua visione della religione, campo in cui Allen si riserva sempre un ruolo un da protagonista, poiché attraverso le sue pellicole si preoccupa di fornire allo spettatore la sua personalissima idea nei riguardi del credo religioso cui appartiene. Così come si preoccupa spesso di sottolineare la sua visione della morte, anche se non è facile definire se sia una visione proveniente dal suo bagaglio religioso, quindi la morte come semplice passaggio verso un’altra esistenza, oppure dalla sua ferma posizione ateistica, secondo cui la morte è la fine tragica di una esistenza terrena vuota e priva di senso; ciò nonostante è sempre stato un argomento ossessivo dei suoi lavori, con discorsi, discussioni, battute, tentati suicidi o rappresentazioni pittoresche dell’aldilà. Crisis in Six Scenes, dal canto suo, rilancia in maniera sostanziosa il tema della politica, generalmente di secondo piano nella filmografia del regista newyorkese rispetto degli altri due elementi canonici, poiché il dibattito politico costituisce il cuore pulsante di ogni discussione tra i personaggi e di ogni passo in avanti compiuto dalla trama fino a diventare l’unica cosa che lo spettatore riesce a ricordare della serie quando si sveglia la mattina una settimana dopo averla finita di vedere. Si potrebbe ipotizzare che ciò che lo ha convinto a soffermarsi così tanto sullo scontro tra le diverse ideologie politiche sia la possibilità che esse, nel contesto storico da lui scelto per la storia, costituiscano il riflesso di una scissione generazionale presente in America in quel dato periodo. Il terreno di scontro politico diventa sinonimo di un confronto tra diverse visioni della vita, in particolare vede l’affermazione di una nuova visione data da un uomo che ha deciso di tagliare ogni ponte con il passato e che si trova a ricreare da zero il suo percorso.

L’uomo, per quanto cerchi di essere ossessivamente in controllo della realtà che lo circonda, in verità è semplicemente una vittima, non del destino, che non esiste, ma di se stesso

Woody Allen ha votato tutta la sua opera allo studio della natura umana, cercando di raccontare tutti quelli che ne sono gli elementi costitutivi e preoccupandosi sempre di evidenziare come l’uomo, per quanto cerchi di essere ossessivamente in controllo della realtà che lo circonda, in verità è semplicemente una vittima, non del destino, che non esiste, ma di se stesso, poiché non solo non ha la capacità di indirizzare al meglio la propria vita, ma ha invece quella di male interpretare costantemente quello che ha dentro, fino a confondersi del tutto. L’uso della figura del prestigiatore è in questo senso molto esplicativa, sempre rappresentato come colui in grado di modificare la realtà percepita ma solo attraverso delle fugaci illusioni, e quindi la sua fine è sempre quella di arrendersi all’incapacità di essere realmente fautore di sé. Quello che circonda l’uomo è dominato dal caso e, come tale, non ha senso, è vuoto e non dona conforto né condanna, è una semplice ruota che gira e crea nuove situazioni, fino all’atto finale. Nell’ultima fase del suo cinema, Allen si è basato quasi sempre su delle maschere stereotipate degli elementi del suo personalissimo genere, variando la formula del loro uso, il modo in cui entrano in relazione e il contesto in cui la tipica danza delle sue storie va in scena, tutto accompagnato da un New Orleans Jazz e dai suoi classici titoli di testa e di coda. Nonostante la brillantezza e la fluidità della sua scrittura capace di destreggiarsi in storie che vanno da drammi struggenti come nel caso di Blue Jasmine a pellicole più leggere come quest’ultima uscita nelle sale, il suo cinema va pian piano sempre di più fossilizzandosi, anche fisiologicamente si può dire. Quello che risalta agli occhi è uno stile di scrittura che si appoggia con sempre più insistenza su quelle che sono le tappe fondamentali del suo percorso artistico, motivo principale del suo enorme e meritatissimo successo, senza riuscire più a fissarne di nuove ogni volta che dà vita ad un nuovo lavoro. Ma i suo film rimangono lo specchio fedele della sua vita, delle sue passioni, delle sue ansie e delle sue ossessioni e, come tali, riflettono in pieno tutte le sue difficoltà attuali. La sua capacità di allontanarsi sempre di più dalle barriere del suo stile di partenza lo ha portato nel corso del tempo a chiudersi sempre di più in sé, e il suo limite di non riuscire ad aprirsi a qualcosa al di fuori di lui è diventato il limite naturale delle sue stesse creazioni. Anche in questo Woody Allen è stato fedele a se stesso e il fatto che ora siano proprio tutte le sue difficoltà creative a essere le reali protagoniste delle sue nuove pellicole non può essere altro che un suo ennesimo pregio, e la sua prova ultima come artista genuino e trasparente.

Jacopo Fioretti


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