Ernst Lubitsch
Berlino, 28 gennaio 1892 – Los Angeles, 30 novembre 1947
Passato come Murnau dalla compagnia teatrale di Max Reinhardt, l’attore comico Ernst Lubitsch comincia a girare i propri film durante la guerra, per cogliere insieme a La principessa delle ostriche (1919) l’ottima prova de La bambola di carne – graffiante opera sul doppio, tra Hoffmann e l’espressionismo – prima che Madame du Barry e Anna Bolena, (1920), con il grande Emil Jannings e Pola Negri, gli aprano precocemente le porte di Hollywood. Qui lavorerà con le maggiori case produttrici e senza accusare il passaggio al sonoro realizzerà una serie di commedie, spesso ambientate in un’Europa stilizzata ricca di suggestioni teatrali, dove sulla base di un ritmo perfetto e d’una ricercatezza formale sapientemente dissimulata si combinano uno humour allusivo e una disincantata consapevolezza della transitoria finitezza del vissuto umano, quel Lubitsch touch – come lo definirà Billy Wilder – che diverrà proverbiale. L’influenza delle origini ebraiche e mitteleuropee vi si sente tanto quanto nel Lubitsch capace di penetrare l’umano fino a rovesciare icone del contemporaneo – nello splendido Ninotchka (1940) Greta Garbo, eterna algida, ride – e che forse tocca l’apice nella sorridente autobiografia di Scrivimi fermo posta (1940) e in Vogliamo vivere! (1942), film sospeso nel dubbio tra realtà e finzione di una compagnia teatrale nella Varsavia occupata, e come tutto Lubitsch a lungo incompreso dalla critica ufficiale.
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