El libertador? - La rivoluzione bolivariana

Simón Bolívar e il socialismo petrolifero


2. La rivoluzione bolivariana

Chávez sale al potere nel ’99 vincendo regolari elezioni. Al principio degli anni Novanta aveva tentato e fallito un colpo di Stato ai danni dell’allora Presidente Pérez, poi destituito dalla Corte Suprema venezuelana per malversazioni. Accolto da grandi simpatie popolari, resta in prigione solo un paio d’anni, sufficienti però a consolidare il sistema di pensiero cui aveva dato vita ai tempi dell’Accademia militare: un socialismo moderno in tinta populista e nazionalista, impastato di cristianesimo e fondato sull’idea di sottrarre le risorse naturali del Paese alle multinazionali a guida nordamericana per orientarne lo sfruttamento a favore delle masse popolari, e su una nuova concezione della cooperazione continentale. Anche sotto quest’aspetto si tratta di liberare l’America Latina dai condizionamenti geopolitici del colossale vicino del Nord, garantendo al Venezuela una posizione di potenza quantomeno regionale. A quest’idea di forza attraverso l’unità Chávez associa la sacra figura di Simón Bolívar, che all’indomani della liberazione dal dominio coloniale spagnolo promosse un’effimera Grande Colombia presto divorata da dissidi interni e, più in generale, come il resto dell’America Latina, dagli influssi nefasti delle diplomazie europea e nordamericana, che vedevano di buon occhio la disgregazione politica dell’area al tempo del dominio del libero mercato. Per questo pesa così tanto la retorica antiamericana, prima dell’era Obama, nell’economia dei discorsi politici di Chávez; per questo sono così sentiti i richiami di Maduro all’unità dei Paesi latinoamericani e alla fedeltà alla causa rivoluzionaria. Si ravviva la memoria degli ideali traditi dalle classi dirigenti del passato, ree di una condotta opportunistica che barattava il mantenimento del potere con l’indipendenza nazionale.

La rivoluzione si fa naturalmente coi proventi del petrolio, che Chávez reinveste per alleviare il disagio materiale, ma anche per stimolare la crescita e lo sviluppo degli strati più umili della popolazione, attraverso il miglioramento della sanità e della istruzione pubbliche. Una politica di questo genere, in linea col forte valore educativo attribuito alla pratica democratica dal Socialismo del XXI secolo cui Chávez si ispira, ha richiesto una conduzione spregiudicata dell’economia e frequenti operazioni di esproprio e nazionalizzazione di aziende private, specie in settori strategici come quello petrolifero. Con l’esplodere della crisi economica nel 2008 si è cominciato a vedere il riflusso di questa politica, con il clima scarsamente invitante per gli investimenti stranieri e le ricadute della statalizzazione sulla meritocrazia e la competenza dei quadri dirigenti. Inoltre il forte fenomeno inflattivo di cui il Venezuela soffre a causa dell’ingente spesa pubblica è aggravato dall’oscillazione dei prezzi del petrolio, bene da cui l’economia nazionale continua a dipendere, e solo in parte è temperato dalla disponibilità finanziaria accumulata in momenti migliori.

La rivoluzione ha avuto bisogno di una solida base legale, per cui la stessa campagna elettorale che portò al potere Chávez nel 1999 fu basata sulla proposta di portare il Venezuela verso una Quinta Repubblica dotata di una nuova Costituzione che permettesse al Presidente di prolungare il più possibile la permanenza al potere rimanendo entro i confini della legge. L’operazione sembra essere riuscita senza gravi sfregi all’ordinamento democratico anche secondo alcuni osservatori internazionali, come il Carter center, che pure non esita a segnalare la persistenza di pratiche pericolose per la democraticità delle consultazioni elettorali come l’intimidazione di esponenti dell’opposizione e della stampa. D’altro canto non si può dire che l’opposizione si sia offerta al taglio della gola, dal momento che alcuni suoi settori sono stati in grado di suscitare il colpo di Stato contro il Presidente dell’aprile 2002, quando l’appoggio della popolazione e la sostanziale fedeltà dell’esercito riuscirono a rovesciare il golpe architettato dalle forze interessate al mantenimento dello status quo economico del Paese, allora ancora legato all’impostazione neoliberale degli anni Novanta e lontano dalle politiche di socializzazione dei settori strategici dispiegate da Chávez negli anni successivi. Fatto sta che con la riconferma al potere avvenuta nel 2006 Chávez si è sentito libero di imprimere un’accelerazione al processo rivoluzionario, che in pratica ha significato un’intensificazione dei tentativi di far legittimare dall’elettorato e dall’Assemblea un aumento del potere personale del Presidente. Non sempre le urne lo hanno accontentato fino in fondo, ma gli occasionali rovesci elettorali sono stati compensati da tempestive riforme ad hoc, come nel caso delle amministrative del 2008, che videro Chávez pareggiare contro l’opposizione e quindi riformare le autonomie locali per esautorare gli amministratori eletti dai rivali. Non infrequenti sono poi state le concessioni, da parte dell’Assemblea, di poteri speciali sostanzialmente illimitati; l’ultimo caso risale al 2010, quando un periodo di drammatiche piogge alluvionali servì da pretesto a Chávez per farsi allungare dal parlamento a fine mandato 18 mesi di poteri speciali – poche settimane prima dell’insediamento di una nuova Assemblea in cui avrebbe avuto una maggioranza striminzita, se non incapace di fare la sua politica, e a meno di due anni dalla campagna elettorale che lo separava dalle presidenziali del 2012. Non c’è dubbio che anche la resurrezione della credibilità dell’opposizione e, quindi, del suo consenso elettorale dopo la cessazione delle attività sovversive, ostruzioniste o aventiniane degli anni precedenti, indichi che il Paese, da una parte, conserva dei margini reali di democrazia, e dall’altra non è intenzionato a lasciare il proprio futuro in mano allo chavismo. Chavismo che ha forgiato armi a doppio taglio per la vita delle istituzioni democratiche: il Venezuela è l’unico Paese latinoamericano a prevedere un referendum revocativo della carica presidenziale, ma è anche l’unico a non limitare la rieleggibilità. 


Parte della serie El libertador?

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