Edvard Munch
Løten, 12 dicembre 1863 – Ekely, 23 gennaio 1944
A dipingere Munch comincia dai ritratti, indagando la vita spirituale dei soggetti, e prosegue nei quadri naturalistici che conducono al Mattino (1884), già rischiarato dall’uso maturo della luce e volto a studio anticonvenzionale dell’esistenza: schiarirà la tavolozza, aggraverà i contorni per evidenziare l’elemento simbolico di cui Edvard Munch s’impone interprete europeo di prim’ordine con l’opera dei primi anni Novanta, dalla Malinconia (1891) alla Disperazione (1892), per continuare già scandalosamente celebre in Germania – cui ispirerà la Secessione berlinese e la stagione espressionista – nell’alveo dell’ambizioso progetto del Fregio della vita: nel celeberrimo Grido, nel Vampiro (1893), in Cenere (1894), nella Danza della vita (1899-1900) si materializza sullo sfondo d’una natura malinconica un sentimento doloroso dell’amore e della morte, come della solitudine che sempre a questi s’intreccia, restituiti in onnivora angoscia tramite l’esasperata violenza dei colori. Da Åsgårdstrand, sull’evocato fiordo di Oslo (Chiaro di luna, 1895), trascinato in cura a Copenaghen dalla malattia nervosa che segnala La morte di Marat (1907), Munch vorrà stabilirsi a Kragero e quindi ad Ekely: integrata l’assai padroneggiata grafica ad una pittura non più sviluppata ma nemmeno sbiadita, tra commissioni pubbliche e intensi nudi e autoritratti, lascerà oltre mille quadri alla Oslo che oggi li ospita nel Munch Museet.
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