Dolor y gloria di Pedro Almodóvar
con Antonio Banderas, Penélope Cruz, Asier Flores, Asier Etxeandia
Regista cinematografico dimenticato, Salvador Mallo (A. Banderas) è rintanato in una profonda crisi, tanto creativa quanto fisica. Di contro a un’anima spenta e a un corpo pieno d’acciacchi, attorno a lui vivono accesi e vivissimi i colori dei suoi abiti, dei quadri pagati a caro prezzo e delle stanze del suo appartamento di Madrid. Soprattutto, i colori dei ricordi dell’infanzia – vissuta negli anni Sessanta a Paterna, un paesino vicino Valencia – che si alternano a giornate stanche, molto spesso trascorse a fumare eroina. Quegli stessi colori si palesano fin dai titoli di testa, impastandosi su di uno sgargiante sfondo animato. Un secondo sfondo, però, quello su cui di fatto sono collocate le scritte, è anteposto al primo: bianco e rettangolare come uno schermo cinematografico, quasi a stagliare fin da subito l’idea che il cinema può rappresentare un’autentica via di salvezza a una vita confusa, dolorosa e irregolare.
Dopo tre anni di silenzio, Pedro Almodóvar torna sul grande schermo in contemporanea alla partecipazione in concorso al 72° Festival di Cannes e lo fa con un autoritratto sincero e delicato, una vera e propria ode alla settima arte. Dolor y Gloria – ideale compimento della trilogia formata insieme a La legge del desiderio e La mala educación – si muove con pudore e sensualità tra le stanze dei ricordi, dei sogni e di lontani amori che ritornano, in un misto di sentimenti purissimi in cui nostalgia e rammarico convivono. «Questa pellicola è una dichiarazione d’amore non solo al cinema, ma anche al grande schermo. Lo schermo è l’unica compagnia dell’attore e il grande schermo è l’unico luogo dove i film devono essere proiettati. Il cinema mi ha salvato. È quello che penso e quello che faccio dire a Salvador», afferma Almodóvar. E se rispetto alla cifra autobiografica del film egli ammette un buon 40% di coincidenza tra la sua vita reale e quella del suo alter-ego Salvador, allo stesso tempo il regista spagnolo confessa un totale 100% in relazione a una realtà più intima e profonda, in bilico tra dolore e gloria. Due termini che nei dizionari spagnoli vengono rispettivamente associati a “pena”, “tormento”, “afflizione”, pesantezza d’animo, di contro a “cielo”, “paradiso”, “eden”. Questa stessa sospensione linguistica, protesa verso il cielo ma tenuta in stallo da una pesante gravità, si declina in maniera identica nella vita di Salvador che, come ci racconta metaforicamente la scena d’apertura del film, si trova fin da subito in apnea, sottoposto a un grande sforzo di concentrazione che lo tenga con i piedi ben saldi al fondo della piscina.
Questa pellicola è una dichiarazione d’amore non solo al cinema, ma anche al grande schermo. Il cinema mi ha salvato. È quello che penso e quello che faccio dire a Salvador
La sua enorme fatica passa per reali disturbi fisici e per una depressione che probabilmente è viziata dalla non ancora compiuta elaborazione del lutto della madre; la sua figura si muove nel tempo alternando i volti di Penélope Cruz e Julieta Serrano, dolce e al contempo autoritaria, in costante tensione tra rappresentazione e ricordo. Ma il volto che più di tutti si staglia sullo schermo non può che essere quello di Antonio Banderas, straordinario nel restituire pienamente i dissidi dell’anima e del corpo del protagonista, abilissimo nel trattenere le lacrime. In una sequenza del film lo stesso Salvador afferma veementemente che la bravura di un attore si misura non tramite le lacrime che mostra, bensì tramite quelle che riesce a trattenere. Quelle lacrime saranno sapientemente trattenute tanto nella messa in scena – come quando Alberto, protagonista di un suo vecchio successo cinematografico e occasionale compagno di eroina, recita su un acceso sfondo rosso La Adicción (“La Dipendenza”), monologo teatrale fino ad allora tenuto nel cassetto da Salvador e ispirato alla dolorosa storia col suo vero grande amore Federico – quanto nella realtà – come nel tenero incontro con Federico, che si consuma nell’elegante appartamento di Madrid in un’intensa sequenza intrisa di tutta la malinconia dimessa di Banderas.
«Vedo che c’è qualcosa di diverso in te, una componente di tristezza nella tua vita. Ti prego, non nasconderla nel film. Anzi, falla vedere tutta, farà bene al personaggio», aveva detto Almodóvar al suo Mastroianni – come più volte il regista ha definito Banderas, oggi alla luce di otto intense collaborazioni. «Il mio lavoro è la mia vita», gli risponde idealmente l’attore, raccontando in un’intervista di come l’infarto del 2017 abbia avuto effetti sulla sua vita e sulla sua carriera.
Con una tale alchimia, è facile immaginare come l’intenso dialogo privato tra i due si sia spostato sul set, dando vita a un personaggio e a un racconto autentici e potentissimi. La vera dipendenza di Salvador non è rappresentata dalla droga ma dal cinema, un amore senza il quale non potrebbe vivere e senza cui la sua vita non avrebbe alcun significato; un amore così forte da permettergli di superare il dramma di non poter affrontare fisicamente un nuovo film.
La vera dipendenza di Salvador non è rappresentata dalla droga ma dal cinema, un amore senza il quale non potrebbe vivere e senza cui la sua vita non avrebbe alcun significato
E allora, improvvisamente, quei volti immaginati nei ricordi aprono alla dimensione salvifica del cinema, e Salvador si lascia ispirare dal suo passato: El primer deseo sarà il titolo della sua nuova pellicola – El Deseo è anche il nome della società di produzione fondata da Pedro e dal fratello Agustín. Un titolo che evoca il suo primissimo desiderio, quello di un bambino che di fronte a un corpo nudo scultoreo si schiantava sul pavimento di maioliche; ma che si sovrappone, con altrettanta vivissima carica sessuale, al ritrovato desiderio di fare cinema. I personaggi dell’infanzia si trasformano in interpreti e quell’elegante impasto di ricordi si fa fisico. E diventa cinema, luogo dignitoso e senza tempo in cui viverli e poterli raccontare nuovamente.
«L’amore riesce a smuovere le montagne, ma non basta a salvare la persona che ami»
SPA 2019 – Dramm. 113’ ★★★½
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