DECALOGO 6
Non commettere atti impuri
Il carrettino di Tomek gira per tutto il condominio poco dopo i primi bagliori del mattino. Le ruote sfregano sull’asfalto lasciando nell’aria il suono cauto ma vibrante del vetro. Il ragazzo si reca alla porta di ciascuno, ritira la bottiglia vuota lasciata sul pianerottolo e la sostituisce con quella piena di latte. In fondo al corridoio una vetrata rossa da cui filtra la luce dolce del primo sole.
Il giovane, orfano diciannovenne, impiegato alle poste e studente in Lingue straniere, abita in casa di un amico (volontario in Siria con i Caschi Blu), ospite della madre. Dalla finestra della sua camera spia con un cannocchiale rubato Magda, cinica libertina dal fascino maturo e fuggente – già spiata dall’amico in passato – che abita nel palazzo di fronte nello stesso complesso condominiale.
Il ragazzo ha alimentato nel corso di un anno intero il proprio desiderio da voyeur tramutandolo pian piano in sentimento profondo e sincero, con forme sempre più invasive di ‘pedinamento’. La sveglia è puntata ogni giorno alle 20.30, orario in cui abitualmente rincasa la donna. È costretto a vederla tra le braccia di svariati uomini, che varcano la sua porta di continuo; cerca di osteggiarne gli incontri peccaminosi con telefonate o facendole piombare gli operai per perdite di gas segnalate con l’inganno; le lascia degli avvisi di pagamento falsi (regolarmente timbrati) nella cassetta delle lettere per il semplice piacere di vederla oltrepassare l’ingresso dell’ufficio postale al mattino seguente. Si propone persino come fattorino per la consegna a domicilio del latte, che alle prime ore del giorno lascia per l’appunto alla porta di ogni condomino. La vuole per sé, pur dentro un desiderio non consumabile, circoscritto alla libertà del solo pensiero.
Rimane in silenzio al telefono: «Sento il tuo respiro vigliacco» – lui riaggancia, poi la richiama per chiederle scusa.
Kieślowski perlustra e spia la purezza nello spazio bianco dell’impurità, attraverso lo sguardo vergine di un ragazzino che trasforma ingenuamente l’oggetto del proprio desiderio furtivo e irraggiungibile in tenero ‘oggetto-amato’. Il viso pallido, i capelli biondi di un bambino e gli occhi densi di meraviglia e paura stanno ad attendere dietro la finestra. Il regista indaga così la possibilità dell’amore sul terreno scabro e asciutto del ‘peccato’, utilizzando come ulteriore strumento di contrasto dialettico la figura di una donna scettica e disincantata che non crede – o non crede più – nella nobiltà, se non nell’esistenza stessa, di un tale sentimento.
La macchina da presa spesso sviscera la materia osservata tramite zoom, inequivocabile segno voyeuristico che al contempo riesce a farsi portavoce in soggettiva di tutto il portato affettivo incanalato in quel cannocchiale, malizioso ma sempre pulito, su cui usa posarsi castamente l’occhio di Tomek. Dietro l’angolo resta una madre nell’ombra; a suo modo veste i panni d’altro voyeur, nel misero tentativo di rubare al ragazzo qualcosa, per conoscerlo meglio, e con lui forse anche un po’ del figlio lontano: per accedere parzialmente a ciò che a una madre resta pur sempre taciuto e inesplorato.
Dopo un litigio con un uomo, Magda rientra in casa e sedendosi in lacrime urta distrattamente una bottiglia di latte appena presa dal frigo. Il liquido bianco si rovescia copioso sulla tavola della cucina; lei traccia un segno con il dito sulla superficie bagnata, come a indicare il sentiero che porta in seno al suo peccato, mentre nell'ombra Tomek, preoccupato, continua a spiarla furtivamente. Lei piange disperata, portando la mano alla testa, mentre il tocco leggero del tema musicale portante si poggia sulle corde della chitarra che suadenti vibrano come il vetro, scandendo il ritmo della pura impurezza. Poi il capo resta chino sulla tavola, il dito continua a muoversi sul latte.
La questione degli avvisi falsi costringerà il ragazzo a confessare alla donna tutta la verità, senza alcuna omissione sui dettagli: prima respinto con ribrezzo, poi cinicamente riavvicinato. Rientrata in casa alla sera, spavalda, gli fa dei cenni da lontano indicandogli il telefono; sposta il letto, avvicinandolo alla finestra e gli augura buon divertimento: per punirlo e umiliarlo, o per viziarlo maggiormente, viziando al contempo se stessa e il proprio gioco di donna.
È giorno. «Perché lo fai, perché mi spii in continuazione?» – «Perché la amo. Io la amo veramente» – «E cos'è che vuoi?» – «Niente». Torna indietro, preso di coraggio, e le chiede di andare a prendere un gelato fuori. La felicità è enorme, corre fortissimo per l'atrio del condominio col suo carrettino con le bottiglie di latte, il suono vibra nell'aria dopo i sobbalzi delle ruote sull'asfalto.
È notte. Magda lo invita a salire e lo stuzzica, lo invita al contatto fisico. Basta una mano costretta sulla coscia perché, in lacrime, si consumi del tutto il piacere spaesato di Tomek. Gli è presentato sotto forma di carne ciò che fino a quel momento rimaneva impresso nella mente idealizzato. «Di già? È stato bello? Ecco, è tutto qua l'amore».
Umiliato, fugge via. Poi il tappo del lavabo chiuso, le mani di Tomek immerse nell’acqua macchiata di sangue e un gesto estremo a ribaltare ogni forma del gioco. Perde i sensi.
D’ora in avanti la donna inizierà a focalizzare i contorni e la tenerezza del sentimento provato dal giovane. Prova a cercarlo, lo cerca ripetutamente con affanno e preoccupazione e con lui cerca la sofferenza e una nuova speranza nell'amore o forse semplicemente chi l'ami con la purezza e l’ingenuità di Tomek. Prova a smascherare quello sguardo furtivo su di lei, prova a conoscerne il contenuto profondo. L'oggetto del desiderio, ora persino spiato al binocolo, è un sentimento di cui diffida ma a cui sembra aprire finalmente una possibilità.
Avvenuto l'agognato rientro di Tomek, Magda, rasserenata, va a trovarlo alla posta. Il percorso ha rigenerato entrambi, depurandoli dalle aberrazioni del proprio ideale – poco importa se positivo o negativo – d’amore.
I due si guardano, separati dal vetro dello sportello cui siede il ragazzo. Lo spiraglio dolce del primo sole.
«Ho smesso di guardarla» – il volto di lei, preoccupato, concede un sorriso amaro e misurato.
Entrambi disposti, se non ad amarsi, forse ad amare diversamente.
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