Da schermo a schermo

La relazione tra cinema e videogame e gli orizzonti del mondo video-giocabile

È da almeno un decennio che si sente parlare di matrimonio tra cinema e videogioco, un afflato d’amore tra due medium così diversi eppure così efficaci nel dare pieno sfogo al nostro immaginario simbolico, al nostro potenziale di esseri umani come esseri ideali. Esseri che abitano l’attuale e che governano il virtuale. Per sgombrare subito il campo da ogni tipo di fascinosa elucubrazione intellettuale su questa distinzione è importante chiarire che attuale e virtuale sono due facce della stessa medaglia: la medaglia del reale. E che entrambe contribuiscono a costituire la suddetta realtà in quanto spazio dell’essere e dell’agire umano. Che cos’è il mondo dell’uomo se non la vita delle sue idee? È in quest’ambito allora, che cinema e videogioco si rincorrono, finendo spesso l’uno nelle braccia dell’altro.

Nel lontano 1982 la Disney lancia in sala Tron, considerato il primo film a focalizzarsi sulla realtà virtuale, e guadagna due candidature ai Premi Oscar del 1983. L’anno seguente è la volta di WargamesGiochi di guerra, fuori concorso al 36° Festival di Cannes, una pellicola in cui un hacker sventa una possibile guerra nucleare giocando a tris con il super computer della difesa aerospaziale nordamericana. Nel 1984 esce Giochi Stellari, ricordato per essere uno tra i primi film – insieme a Tron – a utilizzare interamente la CGI per gli effetti visivi.
Quello che accomuna questi titoli è il fatto di essere film sui videogiochi e nello specifico film in cui la destrezza, l’abilità e l’esperienza di gioco dei protagonisti assurge a ruolo primario per la risoluzione della pellicola. Sono film che enfatizzano la nascente cultura videoludica anni ’80, cresciuta nelle sale giochi e riverberatasi on-line nelle più recenti rappresentazioni immaginifiche di Ready Player One. Film emblematico che, come scrive Tomaselli su queste pagine, rappresenta una summa definitiva di quella decade, la decade che precede i ’90, gli anni in cui il cinema a tema videoludico si è scomposto in due correnti, ancora oggi vive e pulsanti.
Una di queste traspone e adatta al grande schermo i titoli più giocati dal mercato, sfornando saghe più o meno aderenti alle trame dei giochi da cui prende spunto: da Super Mario Bros (1993), passando per Street fighter – Sfida finale (1994) e Mortal Kombat (1995) fino ad arrivare a Lara Croft: Tomb Raider (2001), Resident Evil (2002) e Silent Hill (2006), titoli rappresentativi della prima decade dal nuovo millennio. L’altra corrente opera invece un ragionamento più sofisticato, emulando gli stilemi e le forme strutturali di un medium e provando a trasporle nell’altro. Nascono così film come Sucker Punch (2011) e lo stesso Ready Player One (2018), che espropriano il videogioco della sua interattività, mantenendo sullo schermo una morfologia narrativa strutturata sul superamento di più livelli di difficoltà crescente, e in generale ponendosi sul tracciato di una ricerca della meta, di una quest, che si arricchisce sul grande schermo della profonda capacità di trasmissione emotiva propria del cinema; a discapito o – più adeguatamente – in maniera differente dall’immersione videoludica.
 

Il cinema a tema videoludico si scompone in due correnti: una adatta al grande schermo i titoli più giocati dal mercato, l'altra emula stilemi e forme strutturali del medium, espropriando il videogioco della sua interattività


È qui, in questo flusso di ibridazioni, ammiccamenti e spudorate scopiazzature che si innesta la convinzione della cross-medialità come acme e sintesi dei due medium. E sì, perché se da un lato il cinema, fin dall’uscita di Tron, aveva subito giocato la carta del cross-mediale proponendo nello stesso anno un gioco arcade dall’omonimo titolo, dall’altro lato anche il videogioco tenta di inseguire il film con le sue cinematiche – gli inserti animati utilizzati per fini narrativi o puramente estetici – sempre più cinematografiche e la commercializzazione dei prodotti che segue esattamente quella dell’industria cine-audio-visiva. Trailer sempre più sofisticati, attenti alla regia, al montaggio e alla sonorizzazione come Bioshock (2007), Dead Island (2011), Gta V (2013) o Red Dead Redemption II, la cui uscita è prevista entro il 2018. In generale, titoli attenti agli aspetti tecnici come fossero prodotti destinati alla sala. Ma è soprattutto il comparto grafico che segue il passo del fratello maggiore rendendosi sempre più credibile e verosimile, come con i più recenti motori grafici quali Unreal Engine – che l’irrealtà ce l’ha solo nel nome – o Frostbite Engine. Nei videogiochi The Last of Us (2013), in cui i personaggi principali sono interpretati da Ellen Page e Willem Dafoe, Resident evil 7: Biohazard (2017) o Anthem (2019), il cui trailer offre una porzione di gameplay captured in real-time, mettono bene in evidenza il progresso e la direzione presa dall’industria videoludica in termini di fotorealismo e sempre maggiore attinenza del motore grafico alla complessità della fisica reale.

Questo continuo intersecarsi ha dato vita ad un interscambio di professionalità che, dal cinema al videogioco e viceversa, si sono portate dietro una serie di competenze, esperienze e visioni artistiche personali – nonché di tecniche affini ad entrambi i campi come la motion capture. Queste tecniche e mestieri hanno contribuito esponenzialmente all’immedesimazione e ibridazione dei due medium, coltivando e diffondendo nel dibattito pubblico quell’idea germinale della cross-medialità come punto d’arrivo, e non piuttosto come tappa temporanea di una corsa ben più lunga verso un orizzonte sempre in movimento.
È questa presunta completezza che manca all’appello, questo senso di totalità che nell’unione guarda al tutto come alla somma delle sue parti e non come all’inizio di qualcosa di nuovo e unico. Quando parliamo di visori VR o di realtà aumentata o, più banalmente e più in generale, di realtà virtuale, la associamo sempre più spesso alle potenzialità che questa tecnica, combinata con le storie video-giocabili, è in grado di offrire alla nostra esperienza ludica. Un’esperienza che ha cambiato il modo in cui ci rapportiamo alla realtà tanto da diventare il nuovo paradigma di un esprit du temps che ci vede non più solo come consumatori di beni e di materia, bensì come consumatori di esperienze. Cresciamo l’idea di noi stessi attraverso l’elaborazione di quelle stesse esperienze, costruendo la nostra identità con quello che è sempre stato uno dei metodi più basilari di apprendimento fin dalla tenera età: il gioco. Non siamo più consumatori, siamo diventati giocatori.
 

L'esperienza ludica ha cambiato il modo in cui ci rapportiamo alla realtà tanto da diventare il nuovo paradigma di un esprit du temps che ci vede non più solo come consumatori di beni, bensì come consumatori di esperienze


Il nuovo paradigma dell’essere è la sua caratteristica prevalentemente giocosa e giocabile, in quanto noi stessi facciamo parte e contribuiamo a creare, vivendolo, quel mondo esistenziale in bilico tra attuale e potenziale che è esso stesso emblema del gioco. Siamo diventati giocatori. E cosa fa un giocatore? Un giocatore gioca, punto. Gioca con la sua esperienza limitata in questo mondo e scompone, deframmenta e analizza la realtà tramite i paradigmi che più si attengono alla sua epoca, vivendoli come fossero (e lo sono) la realtà dei tempi che corrono. Attualizza il virtuale e subito ne rifugge alla ricerca spasmodica di altra e ulteriore virtualità. È per questo motivo che l’unione di cinema e videogioco non è un processo finito, o che finisce nella summa dei due mondi, bensì è un passaggio verso ciò che è oltre il confine delle nostre esperienze, oltre quello che oggi è la realtà virtuale nel suo aspetto prettamente ludico.
Quando nacque il cinema, la novità che portò alla luce non fu da subito chiara come “settima arte”, e perciò venne ingenuamente etichettata come la somma di quelle arti che ne componevano la messa in scena: pittura, scultura, teatro, letteratura. E cos’è il videogioco se non un medium che ingloba in sé i medium precedenti? E così via, nei secoli dei secoli. Fino a quando la realtà virtuale verrà a definirsi per qualcosa che va oltre la pura ibridazione e come qualcosa che, necessariamente, si staccherà dal gioco e dal paradigma troppo attuale del giocatore, per costituire un nuovo immaginario simbolico che dia rappresentazione all’esistente e contribuisca a generarne il senso. Questa è la sfida che verrà ed è questa la sfida che parte da oggi, nel giorno in cui siamo tutti impegnati ad annunciare le nozze tra cinema e videogioco. Se qualcuno ha qualcosa da dire, lo dica ora o taccia per sempre.


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