Creare immagini è una forma di fede | Intervista ad Alice Rohrwacher
Il mondo personale e artistico della regista di Lazzaro felice e Le meraviglie, dalle pagine del Guardian
La regista italiana Alice Rohrwacher mi racconta quando da piccola accompagnava i genitori apicoltori nei lunghi viaggi in macchina che si facevano, soprattutto la notte, per trasportare i prodotti dell’attività di famiglia. Ogni volta che arrivavano da qualche parte, lei si sedeva nel buio e fantasticava su dove fosse. «Dovevo capirlo basandomi su ciò che sentivo non su ciò che vedevo, così mi mettevo in ascolto del luogo e le informazioni prendevano forma nella mia mente, solo allora aprivo gli occhi». È per questo che tutti i suoi film iniziano di notte, per mettere lo spettatore nella stessa prospettiva. «Devi immaginare un mondo e poi confrontarlo con quello esterno». L’universo dei film della Rohrwacher assomiglia in parte al mondo che conosciamo, un mondo in cui però l’immaginazione prende sempre più spazio. Il suo primo film, Corpo Celeste (2011), è un film drammatico, realistico, che approfondisce il tema dell’educazione cattolica in Italia attraverso lo sguardo di una bambina di 13 anni. Segue Le meraviglie, vincitore del Grand Prix della Giuria a Cannes nel 2014, film che evoca l’infanzia della regista condito da elementi grotteschi tipici della televisione italiana (Monica Bellucci nei panni di una conduttrice e dea etrusca).
Nel suo ultimo film, Lazzaro Felice (leggi la nostra recensione qui ► Lazzaro felice di Alice Rohrwacher), la Rohrwacher esplora con sguardo visionario nuovi territori. Il film, liberamente ispirato a un fatto di cronaca avvenuto negli anni Novanta, racconta di una marchesa che tenne all’oscuro i suoi paesani dell’abolizione della mezzadria, continuando a farli lavorare in condizioni quasi feudali. Girato in pellicola 16mm, come le altre opere della regista, Lazzaro Felice può ricordare a primo impatto lo stile di Ermanno Olmi e del suo acclamato L’albero degli zoccoli, basti pensare alle cornamuse presenti in entrambi i film. Ma solo all’inizio, perché poi è la magia a farsi strada nella storia, insieme al viaggio nel tempo con chiari riferimenti di felliniana o pasoliniana memoria.
Che si viva come una favola, come un fantasy dell’assurdo o una parabola politica, Lazzaro Felice ha il potere di incantare, non a caso è stato premiato come miglior sceneggiatura al festival di Cannes nel 2018. Martin Scorsese ne è diventato il produttore esecutivo dando ancora più visibilità al film; anche Sofia Coppola è un’ammiratrice e ha dedicato alla regista una lunga intervista sul New York Times. Altro riconoscimento è arrivato dalla rivista inglese Sight & Sound, che ha incluso Lazzaro Felice nella lista dei migliori film del 2018, con il giornalista A.O. Scott che lo ha descritto come un film che «trascende tutte le categorie e convenzioni».
La Rohrwacher mi parla su Skype dalla sua cucina in Umbria, vicino a Orvieto. Accenna un sorriso quando le chiedo di descrivere lo stile del film, neorealismo magico forse? «Non so dare una definizione precisa. Se si vuole lasciare la propria immaginazione libera allora bisogna anche essere molto realisti, ovviamente cambiando un po’ le cose». Per farmi capire meglio, rievoca un luogo che era solita visitare da piccola, i giardini di Bomarzo, risalenti al sedicesimo secolo e famosi per le statue e i mostri. «Nel parco c’è una casa, una bellissima casetta a due piani con dentro un tavolo, un camino. Ma è storta. Mi è sempre rimasta impressa. Per vedere bene i mostri bisogna essere in pendenza. E vale lo stesso per Lazzaro, bisogna essere un po’ inclinati per abbandonarsi all’immaginazione». Il film è ambientato in un villaggio immaginario, l’Inviolata, un luogo che esiste come sospeso, «fuori dal tempo», mi dice Rohrwacher.
Vedo dilagare l’etica della brutalità e del potere maschile ed io ho voluto oppormi a tutto questo. Volevo mostrare qualcuno che fosse innocente e debole come un uomo e allo stesso tempo autenticamente buono
Il villaggio così come la piantagione di tabacco sono stati ricostruiti da zero in una zona non distante dal paese della Rohrwacher, grazie all’aiuto del cast formato da veri contadini del luogo. Un approccio decisamente meticoloso, questo, che ha origine dalla convinzione di quello che la regista definisce “l’enigma del vero”, «Quando vediamo qualcosa di vero che è molto bello, come ad esempio un fiore, ci sembra finto. E quando vediamo un fiore bellissimo, fatto a mano da qualche artista, ci sembra vero. Le cose più belle nella realtà ci sembrano finte. Per questo era importante che il mondo all’interno del film, animali, piante, fosse vero. Ogni cosa doveva vivere di vita propria». Il giovane protagonista del film, Lazzaro, incarna un archetipo senza tempo, quello del buono ingenuo, interpretato dall’esordiente Adriano Tardiolo, uno studente di economia con due grandi occhi magnetici che sembra uscito fuori da un antico fregio romano. La Rohrwacher tratteggia Lazzaro come un eroe maschile alternativo, di cui a sua detta l’Italia aveva bisogno. «In questi tempi, nel mio paese, l’Italia, vedo dilagare l’etica della brutalità e del potere maschile ed io ho voluto oppormi a tutto questo. Volevo mostrare qualcuno che fosse innocente e debole come un uomo e allo stesso tempo autenticamente buono».
Alice Rohrwacher, 37 anni, è nata a Fiesole vicino Firenze, ma è cresciuta nelle campagne umbre. I suoi genitori, la madre una maestra italiana e il padre un apicoltore tedesco, erano degli idealisti degli anni Sessanta che credevano profondamente nell’essere autosufficienti, proprio come i genitori del film Le meraviglie. Come loro, presero dei locali fatiscenti che erano stati abbandonati dai contadini che si erano trasferiti nelle città e ne fecero una casa, «un po’ come la casa in cui vivo attualmente» aggiunge Rohrwacher. Ma Le meraviglie è un film autobiografico solo in parte: «Tutte le storie sono inventate, ma il mondo in cui avvengono è il mio». Ad esempio, una differenza è che nella famiglia hippie e stramba de Le meraviglie, le sorelle sono quattro, ma nella realtà le sorelle Rohrwacher sono solamente due. La sorella più grande della regista è l’attrice Alba Rohrwacher, un pilastro del cinema contemporaneo italiano, che si è guadagnata la considerazione internazionale grazie al ruolo della figlia di Tilda Swinton nel film Io sono l’amore di Luca Guadagnino. L’attrice ha poi lavorato insieme alla sorella sul set di Lazzaro Felice e Le meraviglie, interpretando di fatto sua madre. «Il suo apporto è fondamentale nel mio lavoro» racconta la regista, «abbiamo la stessa immaginazione, quando lei legge qualcosa che scrivo, riesce ad immaginarselo come lo immagino io, ma al contempo può analizzarlo da un’altra prospettiva».
Ha prima studiato lettere classiche a Torino, lavorato come assistente in teatro e infine si è ritrovata a girare e montare un documentario, soprattutto perché, ci racconta, le piaceva molto stare insieme agli artisti circensi, che erano il soggetto del documentario
La Rohrwacher ha imparato molto poco del cinema crescendo. Ha prima studiato lettere classiche a Torino, lavorato come assistente in teatro e infine si è ritrovata a girare e montare un documentario, soprattutto perché, ci racconta, le piaceva molto stare insieme agli artisti circensi, che erano il soggetto del documentario. Poi un produttore le ha suggerito di fare un suo film, e il risultato è Corpo Celeste, opera che parla di una ragazza che intraprende un corso intensivo di catechismo. La religione non ha avuto molto spazio nell’educazione ricevuta dalla regista, che tuttavia afferma di essere sempre stata molto affascinata dalla fede, di qualsiasi tipo essa fosse. «Faccio cinema, sono una persona molto religiosa» ride, «Creare immagini è una forma di fede».
L’Italia ha avuto importanti registe donne come Lina Wertmüller (Pasqualino Settebellezze) e Liliana Cavani (Il portiere di notte), ma sono ancora molto poche. Alice Rohrwacher non è sicuramente la persona a cui chiedere il perché. «È come chiedere a chi è sopravvissuto a un naufragio: “Perché sei solo su questa spiaggia?” Bisognerebbe chiedere a chi ha costruito la nave, a chi l’ha guidata. Bisogna chiedere a chi decide a chi vanno i soldi». Attualmente i registi italiani più acclamati sono quelli che hanno mostrato una chiara propensione per uno stile barocco, Luca Guadagnino (Suspiria), Paolo Sorrentino (La grande bellezza), Matteo Garrone (Il racconto dei racconti). La Rohrwacher in quest’ottica è probabilmente molto più vicina nell’indole a quei registi che rintracciano e mostrano lo strato più grezzo, duro della realtà, come Jonas Carpignano (A Ciambra), un altro pupillo di Scorsese o il documentarista Gianfranco Rosi (Fuocoammare). Nel panorama dei registi italiani, la Rohrwacher non esita a indicare Roberto Rossellini, pioniere di classici neorealisti come Roma città Aperta, come suo maestro.
Alice Rohrwacher non è sicuramente la persona a cui chiedere il perché in Italia ci sono poche registe donne. «È come chiedere a chi è sopravvissuto a un naufragio: “Perché sei solo su questa spiaggia?” Bisognerebbe chiedere a chi ha costruito la nave, a chi l’ha guidata»
Le chiedo se si considera una regista di film politici «Certo. Esiste un cinema della prosa e uno della poesia e quest’ultimo è sempre connesso alla politica. Si tratta di farsi domande, e iniziare a pensare con la propria testa è sempre un processo politico». La regista preferisce non parlare della propria vita privata, sappiamo solo che vive con il compagno e sua figlia Anita, 12 anni, che compare anche in Lazzaro Felice nei panni di una bambina del villaggio. Il cinema più vicino, che si trova a 60 chilometri, propone film di supereroi doppiati in italiano ma la Rohrwacher preferisce di gran lunga portare la figlia a vedere i grandi classici proiettati al festival annuale del Cinema Ritrovato a Bologna. «Ha la possibilità di vedere su uno schermo gigantesco i migliori film mai realizzati, il tutto insieme a migliaia di persone e questo» mi confessa nella sua delicata religiosità, «è il paradiso sulla terra».
Jonathan Romney è critico cinematografico e contributing editor di Sight & Sound. Questo articolo è stato pubblicato sul Guardian il 31/03/2019 ► Film director Alice Rohrwacher: 'Making images is a form of faith'
Traduzione di Sonia Valentini
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