Confidenza di Domenico Starnone, un universo collaudato e senza sorprese
Il terzo romanzo, non pienamente riuscito, di un'ideale trilogia dello scavo interiore
La trama di Confidenza, ultimo romanzo di Domenico Starnone (Einaudi), è molto semplice: Pietro Vella, insegnante napoletano, sta vivendo una relazione tormentata con Teresa, sua ex alunna di vari anni più giovane di lui. Il loro è un amore dissipante, passionale, che lo stesso Pietro – narratore della prima parte del romanzo – definisce in incipit come «lava di vita grezza che brucia vita fine, un’eruzione che cancella la comprensione e la pietà, la ragione e le ragioni, la geografia e la storia, la salute e la malattia, la ricchezza e la povertà, l’eccezione e la regola». Questo tipo di amore – o meglio, sentimento malsano di codipendenza – è capace di tutto pur di salvaguardarsi, e infatti Pietro e Teresa, dopo l’ennesima riappacificazione, decidono di scambiarsi una confidenza, un orribile segreto su se stessi allo scopo di legarsi l’uno all’altra a doppio filo. Ma la fine della relazione arriva, dopo pochi giorni, tutt’altro che inaspettata.
Mi confidai, prima in modo frammentario, poi in modo sempre più articolato, non volendo smettere di parlare, fu lei che disse basta. Tirai un lungo sospiro, dissi:
– Ora sai di me ciò che non ha mai saputo nessuno.
– Anche tu di me.
– Non possiamo lasciarci più, siamo davvero l’uno nelle mani dell’altra.
– Sì.
– Non sei contenta?
– Sì.
– È stata un’idea tua.
– Certo.
– Ti voglio bene.
– Anch’io.
– Ma io tanto.
– Io tantissimo.
Pochi giorni dopo, senza litigare, anzi con un formulario cortese che non avevamo mai usato tra noi, ci dicemmo che la nostra relazione era ormai esaurita e di comune accordo ci lasciammo.
Il tempo passa, e Pietro a scuola incontra Nadia, di cui si innamora; per scacciare il doloroso ricordo della relazione con Teresa, ben presto decide di sposarla. A pochi giorni dalle nozze, però, Teresa ricompare e ammonisce Pietro: se sgarra con Nadia, la verità viene a galla. Da questo momento, lo spettro del segreto confidato alla giovane seguirà Pietro per tutta la vita ricordandogli, soprattutto nei frangenti più critici della sua esistenza, che è più facile essere una buona persona non tanto quando si è spinti da propositi positivi, bensì quando si è terrorizzati dalla cattiva coscienza. La confidenza fungerà così da spada di Damocle pronta a colpire, e la paura della sua rivelazione sarà l’unica cosa che consentirà a Pietro di non imboccare il sentiero impervio della cattiva condotta.
Chi ha letto più di un romanzo di Starnone conosce bene la sua predilezione nel presentare degli scenari che alla fine si rivelano essere totalmente diversi da com’erano all’inizio; basti pensare a Spavento (2009), che riflette su letteratura, malattia e morte attraverso un gioco di scatole cinesi impossibile da cogliere se non si giunge almeno alla seconda parte del romanzo. Ecco, anche leggere Confidenza significa, in prima battuta, cadere in una trappola: nonostante sembri non avere una specifica conclusione o morale, in realtà il romanzo è volutamente inconcludente. Per permettere al testo di acquistare senso compiuto, è infatti necessario considerarlo parte di un universo interpretativo di più ampio respiro che, comprendendo Lacci (Einaudi, 2014) e Scherzetto (Einaudi, 2016), va a comporre un’ideale trilogia dedicata allo scavo interiore e all’analisi delle relazioni familiari, in cui si osservano non solo gli attriti dei rapporti matrimoniali, l’egoismo, la realizzazione di sé a scapito di altri (Lacci, Confidenza), ma anche i complessi (dis)equilibri tra genitori e figli (soprattutto in Lacci), nonni e nipoti (Scherzetto).
Il Pietro di Confidenza è l’ennesimo uomo dal destino ridicolo perso nelle sue intime preoccupazioni piccolo-borghesi
Gli elementi che ricorrono con più evidenza sono sia di natura strutturale (divisione del testo in tre parti abbinato, in Lacci e Confidenza, al cambiamento del punto di vista), sia di natura tematica: i personaggi maschili di Starnone – dal retroterra napoletano, spesso emigrati, sovente insegnanti – sono tutti impregnati di Io: sputano ragioni pretendendo comprensione, e allo stesso tempo si rivelano, in questo costante dibattersi, per ciò che sono davvero: patetici individui troppo presi da se stessi per rendersi conto che l’importante è essere all’altezza non solo delle propria faccia pubblica, ma soprattutto di quella privata. I personaggi femminili sanno invece essere tanto resilienti quanto velenosi; sono indulgenti con i figli, vendicativi con i mariti; sono fragili e forti insieme, spiccano per bellezza fisica e intelligenza, ma sono spesso anime irrequiete. I figli invece, che hanno molto spazio soprattutto in Lacci, sono i fedeli portavoce di quella dicotomia di cui noi tutti, proprio perché figli, siamo schiavi: l’eterno scontrarsi di amore e odio nei confronti di chi ci ha generato, e di cui siamo il prodotto. Anche la casa ha un significato profondo in tutti e tre i testi: fungendo da simbolo dell’ipocrisia familiare, è dietro il calore e pulizia dell’ordine domestico che si cela, in realtà, il caos dovuto allo sgretolarsi dei rapporti relazionali, e il dolore che ne deriva.
Inserito in questa prospettiva d’analisi, Confidenza assume il suo ruolo nella trilogia, ma altro non è che una più breve variazione sul tema rispetto a quanto l’autore ha già affermato nei testi precedenti con più vigore e incisività. Praticando l’autoinganno come meccanismo di difesa, il Pietro di Confidenza ricorda l’Aldo di Lacci: è l’ennesimo uomo dal destino ridicolo perso nelle sue intime preoccupazioni piccolo-borghesi, che preferisce farsi assorbire dalla propria volontà di realizzazione personale – sia professionale che sessuale – piuttosto che tentare, con tutta la fatica del caso, di fare i conti con questioni davvero meritevoli di attenzione. Come, ad esempio, la malsana comunicazione con la moglie Nadia, donna sensibile e complicata, troppo spesso abbandonata a se stessa.
È così difficile avere rapporti di coppia veramente limpidi. Io amavo Nadia, volevo esserle d’aiuto, ma non l’amavo al punto da imporle anche con le brutte di raccontarmi cosa le era successo all’università, cosa l’aveva allontanata per sempre dalle superfici algebriche. Le mie domande erano state fin dall’inizio flebili, perché presentivo che se lei avesse dato la stura alla furia, all’avvilimento, al disgusto e chissà a cos’altro ancora che con encomiabile autocontrollo aveva ficcato in qualche angolo del cervello, non sarebbe stata faccenda di pochi minuti. Al giorno sarebbe seguita la notte e poi ancora il giorno, discussioni, litigi, emicranie, pianti, e scavi nel profondo, l’infanzia, l’adolescenza, le fragilità adulte, i consigli per darsi forza, insomma un’onda lunga che mi avrebbe travolto. Non sarei più riuscito a rispettare i mille impegni che avevo preso, l’insegnamento, i dibattiti, i viaggi, le riflessioni, lo studio, le ore obbligatorie con Emma […] Far chiarezza all’interno della vita di coppia, mah, forse è un dovere, ma anche un lusso che è rischioso permettersi.
La difficile relazione tra Pietro e Nadia ricorda in molti dettagli quella di Aldo e Vanda, sebbene in Lacci Aldo possa essere infedele perché non c’è confidenza che lo trattiene; al contrario Pietro, seppur provi il desiderio di tradire, si ferma non perché mosso da nobili pensieri, ma perché terrorizzato che il suo segreto possa esser scoperto – la paura che domina la coscienza, evitandogli d’errare. Il contenuto della confidenza che Teresa e Pietro si sono scambiati non verrà mai svelato, il che fa sì che questo segreto, fin dall’inizio, muova in avanti alla lettura, poiché stimola la curiosità di chi legge (chissà se Pietro ha portato a termine ciò che il piccolo Mario di Scherzetto non ha potuto?); dall’altro lato però, per quanto l’escamotage sia interessante, non sopperisce alle mancanze di una costruzione narrativa che poteva essere, in virtù dei suoi precedenti, più coinvolgente e affascinante.
Le narrazioni volte a sviscerare il senso di piccolezza dell’egoico uomo medio rischiano di diventare tediose fino a perdere di utilità e significato
Alla fine di Lacci ciò che resta sono due fratelli che si riconoscono nel proprio dolore di figli, e il caos di una famiglia ormai distrutta; alla fine di Scherzetto ciò che resta è il bilancio di una vita fatto dall’anziano protagonista, e un bambino di quattro anni un po’ weird. Alla fine di Confidenza invece cosa rimane? C’è una prosa scorrevole e agile, una batteria di personaggi collaudati e il set di un ambiente più che familiare; c’è l’estro e l’ingegno di un autore che richiede di esser letto con occhi attenti e diffidenti, poiché i mondi interiori che crea non sono depositari di alcuna verità definitiva. Messo in conto questi pregi, già tutti apprezzati con Lacci, il senso di incompletezza che pervade Confidenza non può che lasciare, per quanto sia voluto, un certo amaro in bocca: non c’è assoluzione, né condanna; non c’è comprensione, né rimorso, e questa mancanza di posizione genera un’insoddisfazione non da poco (poi, che questo senso di inconcludenza ricalchi quello della vita siamo d’accordo, ma si potrebbe andare oltre?). La verità è che, al netto dell’ottima letteratura che l’autore napoletano sempre propone, ad oggi fatico molto a sintonizzarmi su una narrativa che fa dello scavo interiore di un uomo medio, benestante e benpensante il proprio marchio distintivo.
Perché il pilastro portante di questo tipo di scrittura risiede nell’indagine dell’Io, nella frammentazione della realtà e della sua percezione, ed è sempre molto appagante quando, immergendosi in quell’Io, il lettore riesce a raccogliere qualcosa di prezioso da poter custodire per sé. Ma quando quell’Io rimane ancorato al suo piccolo scoglio senza aprirsi al mondo – come accade generalmente all’uomo medio, benestante e benpensante – allora trovare degli elementi accomunanti può rivelarsi impossibile, e tutte le narrazioni volte a sviscerare il senso di piccolezza dell’egoico uomo medio rischiano di diventare tediose fino a perdere di utilità e significato, non abbracciando una dimensione più ampia in cui potersi rispecchiare.
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