Con gli occhi sullo schermo

La comunicazione a una sola via nella contemporaneità social di Smithereens, secondo episodio di Black Mirror 5

La realtà del mondo contemporaneo è quella comunemente sperimentata da tutti – anche la tua che stai leggendo dal telefono un articolo condiviso sui social, anche la mia. Sei alla fermata del tram, ti annoi. Sei in coda allo sportello, ti annoi. La noia chiama i social, perché è la dopamina delle notizie, delle immagini, dei pareri, delle vite degli altri che vuoi. Ma non l’avrai e perciò tornerai a scrollare la home tra meno di tre minuti e così all’infinito.
Smithereens è il nome del secondo episodio di Black Mirror nonché il social network attorno a cui si snoda la vicenda. Una giungla urbana di mani velocissime followano, mipiaciano, postano foto, commenti, feedback, in una sorta di mega-Facebook con il logo molto simile a Whatsapp e una bacheca che richiama Twitter. Ma la realtà del social network non è spudoratamente in primo piano come in molti episodi delle stagioni precedenti, bensì prende maggior peso dalla prospettiva pervasiva di un’inquietante normalità.
Spesso Black Mirror ci ha condotti nelle realtà distopiche di un reale calato fisicamente nelle leggi della rete, come in Caduta liberaprimo episodio della terza stagione – in cui i like si danno alla persona e l’attimo sbagliato vale la promozione sociale o la radiazione dal circolo ‘filtro crema’ degli eletti. Come la storia dell’uomo che precipita dal venticinquesimo piano e si ripete fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, la degenerazione del quotidiano è possibile ed è solo due post più in là.

Chris Gilheany (Andrew Scott) è un autista di Uber con qualche problema di controllo dell’ansia. La sera va agli incontri di un circolo di sostegno per traumi psicologici ma rimane in silenzio, chiuso nel dolore di un’angoscia pietrificante che lo consuma in tic e inutili mantra ripetuti a bassa voce.
Un giorno Chris prende a bordo Jayden: giovane, valigetta e completo, con la sicurezza sfrontata della prima settimana di lavoro, lavora da Smithereens: un bagliore illumina lo sguardo dell’autista. In un attimo capisce che è giunta l’occasione da tempo attesa e si lancia in un sequestro di persona folle e maldestro, con la polizia alle calcagna, in un’atmosfera da pessimo film d’azione. Ma la ragione è che Chris è un uomo qualunque, ex professore d’informatica, incensurato e vittima dei propri tormenti: con l’estorsione non vuole ottenere denaro ma un momento pensato e organizzato nel dettaglio.
 

Chris è un uomo qualunque, ex professore d’informatica, incensurato e vittima dei propri tormenti, e con l’estorsione non vuole ottenere denaro ma un momento pensato e organizzato nel dettaglio


La polizia segue attiva e impotente il sequestro a pochi metri di distanza – l’auto con sequestratore e vittima in mezzo ad un campo della periferia inglese, tre intere squadre di poliziotti in tenuta d’assalto, immobili nell’impossibilità di comprendere: il prezzo della vita di Jayden è una telefonata con Billy Bauer, fondatore di Smithereens. Se uno stagista incaricato solennemente di portare i vestiti puliti alla sua boss in aeroporto sembra a tutti gli effetti un pessimo mezzo per fare una chiacchierata con un ipotetico Mark Zuckerberg, con una pistola alla tempia tutto diventa più rapido. Tramite il capo di Jayden, che conosce un collega che conosce un dirigente, si arriva in pochi minuti a Penelope, assistente personale di Billy Bauer colta mentre fa jogging in quella valle incantata del mondo aziendalista di Smithereens. Dal parco al tailleur in ufficio in pochi istanti, Penelope Woo ha radunato legale e analista dell’azienda. In una dinamica parallela, se da un lato l’episodio ci mostra i poliziotti in casa del sequestratore a raccogliere prove sul suo movente, dall’altro capo del mondo, nella Silicon Valley, si innescano le dinamiche delle inchieste dell’era digitale.

Se quella sensazione familiare che il vostro telefono vi ascolti quando dite trenta volte e senza alcun motivo “canna da pesca” è ormai una realtà accettata, l’anatomia di una crisi tramite l’algoritmo dei social ha l’efficienza di una campagna marketing ad personam. I motivi delle nostre azioni sono allora sicuramente nelle citazioni che affidiamo al nostro profilo Facebook, le nostre ambizioni nelle foto che postiamo su Instagram, le vicende private nei messaggi di cordoglio e di auguri che compaiono sulla bacheca: ma nessun algoritmo spiega perché Chris Gilheany abbia voluto infrangere il sistema del quotidiano cercando di mettersi in contatto con il fondatore del social Smithereens.
Con Billy Bauer (Topher Grace) però non si può parlare quando si vuole: in ritiro spirituale lontano dai mezzi di comunicazione il fondatore del colosso è l’immagine perfetta del creatore che prende le distanze dalla sua creatura mentre gode dei suoi successi. La triangolazione FBI-dirigenti di Smithereens-polizia locale, a cui si somma la forza non arginabile dei liberi sciacalli delle scene del crimine, raggiunge vette di efficienza nell’inquadrare in pochi secondi il profilo ed il contesto socioculturale del sequestratore. Ma come a ricordarci il dato di fatto ben noto per cui quello che affidiamo ai social non è per forza vero, le parole di conforto concesse da Chris alla sua vittima (terrorizzata, legata da ore in una macchina, con gli occhi del mondo addosso) sulla presunta pistola giocattolo con cui lo tiene in ostaggio, ascoltate dalle forze dell’ordine tramite il suo telefono, si trasformano nella certezza di poter intervenire su un pazzo disarmato.

Ma la pistola di Chris è vera, così come la sua follia, il suo odio, la sua complessità umana che lo rende un cattivo della storia a cui concedere volentieri la propria simpatia. Il fallimento che si racconta è quello delle risposte facili sulla psiche dell’individuo (“alto intelletto e basso reddito” “sono persone arrabbiate”), delle scalette confezionate dagli uomini per gestire gli uomini (“sembra che tu stia soffrendo molto” “Ah Cristo, parla come un essere umano”), così come quella in definitiva di tutte le sovrastrutture che offrono confortevoli palliativi al vuoto di risposte. I social che sono la malattia e la cura del capitale umano che dominano.
Chris ha causato l’incidente in cui è morta la sua fidanzata per l’incapacità di tollerare la noia di un viaggio in auto senza entrare sui social: vuole dirlo, semplicemente affermarlo, consapevole che quella sarà la sua ultima azione, senza desiderare né mirare a niente in cambio e mettendo a repentaglio la vita di un innocente. Che sia stato lui ad uccidere la fidanzata con la sua leggerezza, la sua disattenzione, non è mai importato a nessuno: l’etichetta della tragedia è senza distinzioni né sfumature e al mondo basta così. Il narcisismo imperante sui social è la chiave del successo e l’altra faccia dell’impossibilità della comunicazione.
 

I social sono la malattia e la cura del capitale umano che dominano


D’altro canto il messaggio affidato ai social è una dichiarazione che non attende risposte, non mira necessariamente allo scambio. Nel confidare la propria storia al telefono senza alcun proficuo intento comunicativo, Chris non parla diversamente da come avrebbe potuto fare dallo schermo del suo smartphone. Le sue dichiarazioni sono come un post su Facebook, un grido nel nulla a cui nessuna convenzione o scrupolo ci obbliga a rispondere: in fondo vuole solo “dire la sua”. Come nella home di Smithereens in cui compaiono foto di gatti e sequestri di persona, silenziosamente in fila, appese come volantini sullo spago invisibile della rete, le informazioni vengono solo proposte, non pretendono tutta la tua attenzione. A sua volta Bill Bauer interagisce con la disperazione dello sconosciuto che gli parla al telefono esattamente come avrebbe potuto ricevere la valutazione di un utente deluso, un feedback negativo, e tenta di reagire all’intoppo del calo di popolarità come un operatore del servizio clienti, tenendo a freno l’individualità egocentrica dell’uomo dietro al social: “cosa posso fare per te?”. Nella sottile linea tra realtà corporea e virtuale la dichiarazione di sé è la sola regola sociale.


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