Coluccio Salutati
Stignano, 16 febbraio 1331 – Firenze, 4 maggio 1406
Preferisce alla giurisprudenza la retorica il giovane Salutati e solo morto il padre riprende gli studi notarili per accettare, caduta coi Pepoli l’ospitalità bolognese (1351), vent’anni di sparso esercizio del mestiere; in Cancelleria a Firenze arriverà per restare (1375). Alla politica estera fiorentina, che fin da Latini spetta al non caduco cancelliere, Coluccio Salutati attende con l’estrema efficacia dell’innovativo energico stile che l’umanista, finissimo redentore d’antichi testi, infonde in epistole latine temute più della cavalleria da quel Giangaleazzo Visconti che solo morte storna da Firenze: tra i Ciompi (1378) e quest’ombra tirannica matura sull’Arno, da una crisi di coscienza politica, un «Umanesimo civile» (Baron) capace d’affermare un ideale – il cittadino animato da profondo senso della res publica – incarnato dal mercante, nuova quintessenza politico-sociale della Firenze fine secolo. Il Trecento lo richiama a salvar l’anima e invocando otia contemplativi Salutati sferza la frenesia peccaminosa della mercatura, ma l’epistolario, capolavoro subito modello di stile, testimonia l’opera incessante di pubblica tutela dei mercanti fiorentini ovunque attivi: nel valutare il motore delle fortune fiorentine è almeno pratico l’accordo col secolo di Boccaccio nel Salutati altrimenti medievale che pure, accogliendo a Firenze il greco di Manuele Crisolora (1396), passa oltre innovando grandiosamente verso il Rinascimento.
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