Cinque stelle, centodieci deputati
Il Movimento cinque stelle esce vittorioso dalle elezioni. Adesso, che fare?
Eccolo, il paladino delle masse, il liberatore dei popoli oppressi dal giogo dei poteri forti. Eccolo, Beppe Grillo, che ora si compiace del successo ottenuto sfruttando la disperazione. Un successo spesso sottostimato, svalutato, persino deriso da un poco avveduto D’Alema, incapace di figurarsi i risultati che il Movimento cinque stelle oggi è riuscito a raggiungere. Eppure, un successo inequivocabile, senza precedenti. Un manifesto segnale che in Italia c’è necessità di una svolta. Ma che c’è anche tanta ignoranza.
Sembrano lontani i tempi in cui Grillo sfasciava computer sui palcoscenici o motteggiava sui socialisti del PSI, con ironia così pungente da farsi allontanare dalla televisione pubblica. Ma è stato forse quello l’inizio di un’ascesa politica inarrestabile. Dapprima in sordina, discreta. Poi sempre più fragorosa, dirompente. Da un blog su Internet fino a colmare le piazze. Compresa Piazza San Giovanni a Roma, strappandola al PD. Insieme a due milioni di elettori. Da quel Vaffa-day di sei anni fa ha avuto modo di consolidare la propria esacerbante protesta, mentre i partiti storici continuavano a sottovalutarne l’effetto, quasi fosse un divertissement innocente e fuggevole, destinato ad avere vita breve. Ma la disperazione si acuisce nel tempo, inesorabilmente, e non si esaurisce d’improvviso.
La conferma del malessere diffuso si è avuta con i risultati delle urne. Il Movimento cinque stelle consegue risultati migliori di quelli di Forza Italia nel 1994. E risulterà decisivo in parlamento, in una situazione di ingovernabilità come quella che si è delineata. Potrà essere determinante in qualsiasi decisione.
La demagogia più deleteria, però, è la vera vincitrice di queste elezioni. Complici gli scandali che hanno viziato il panorama politico e il disagio economico e sociale che interessano il Paese, Grillo ha trovato solide basi su cui costruire il proprio castello di carte. L’illusione ha sedotto le masse. Internet e le piazze hanno diffuso il Verbo. Un Verbo monosillabico: no.
Perché, in fondo, il Movimento di Grillo è il partito del contro. La proposta è in realtà un’accusa, e le idee non sono altro che rifiuti aprioristici. Le proposte concrete, ponderate, attuabili sono solo vagheggiate. Fino ad adesso sono stati utili le grida belluine e gli strepiti per sollevare il disgusto verso una politica logora. Con l’insulto e l’ironia si è dato l’abbrivio per destrutturare un sistema vetusto. La convinzione è stata quella che tutti possano concorrere ad una non meglio precisata svolta. Che chiunque possa fare politica dal nulla. Che chiunque possa esprimere qualunque idea gratuitamente, come in un gigantesco brain-storming inconcludente. Che la massa sia veramente capace di riflettere. Una massa eterogenea, in cui si incontrano professori e operai, disoccupati e impiegati statali. Una massa indistinta, rumorosa, in fermento. Incensurata, per carità. Una massa tenuta insieme da un sottile trait-d’union: il mandiamoli tutti a casa. Il disagio sociale trova la più sincera esplicitazione nella feroce arringa contro lo Stato, e la sfiducia nei politici di lungo corso è appagata dalla nuova fede negli homines novi, gli esemplari esponenti della gente comune che si preparano ad entrare in Parlamento.
Ma adesso, che fare? Le dinamiche di governo non sono così semplici ed idilliache come potrebbero apparire agli occhi dei più sprovveduti. E non è nemmeno così semplice uscire dalla moneta unica, da un giorno a un altro, con referendum popolare o senza. Neanche scegliere di non rimborsare più il debito pubblico è così semplice. Una volta che Grillo sarà riuscito tramite un prevedibile diktat ad imporre le proprie condizioni agli altri schieramenti sui temi più vicini all’istanza popolare, come appunto gli interventi sui costi della politica, chi terrà unita la composita schiera di parlamentari cinque stelle? Non ci sono solide idee di fondo comuni. Proprio per via dell’eterogeneità alla base del Movimento, mancano gli argomenti che possano consolidare gli eletti. Niente concordia ordinum, insomma. Ma quando le forze che combattono la vecchia politica con armi caricate a salve si troveranno a dover fare fuoco, allora ci sarà da preoccuparsi. L’inesperienza, di per sé, non sarebbe un male, se è vero che c’è bisogno di una svolta. Ma l’incertezza sulle azioni future è ciò che dovrebbe dare maggiormente da riflettere.
Arriverà il momento in cui ai proclami dovranno seguire i fatti. Ed è a questo punto che, con buona probabilità, verrà alla luce l’inconsistenza di una proposta che si regge sull’opposizione, ed è incapace di misurarsi con la realtà composita di un Paese che soffre una condizione di declino per risolvere la quale sono necessari progetti, e non strepiti. E la colpa della disfatta non potrà più essere dei poteri forti, perché gli stessi parlamentari cinque stelle ne faranno parte.
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