Cinque sfumature di Unione Europea
5 scenari per cambiare il futuro dell'Unione Europea prima che sia troppo tardi
L’Unione Europea sta attraversando un periodo di trasformazioni cruciali. A poche settimane dall’anniversario dei Trattati di Roma che istituirono la CEE, ci si prepara a festeggiare con il fiato sospeso. Si guarda con incertezza alle elezioni in Olanda, in Francia, in Germania, e forse anche in Italia. Ma in un momento in cui il perverso sentimento nazionalista minaccia un progetto di prosperità e pace lungo sessant’anni, invocando frontiere interne, dazi doganali e svalutazioni competitive, finalmente le istituzioni sembrano aver compreso la gravità dell’impasse politico in cui l’Unione è precipitata da tempo.
La Commissione europea ha presentato ieri il proprio White Paper sul futuro dell’Unione Europea. Cinque scenari, e rigorosamente a 27, senza il Regno Unito. D’altronde, non avrebbe senso discutere di futuro della UE con chi ha sempre valutato la propria partecipazione al progetto comune in termini di una spicciola analisi costi-benefici. Il documento, presentato dal presidente Jean-Claude Juncker dinanzi ad un Parlamento europeo quasi vuoto, sottolinea come sia giunto il momento di decidere cosa ne sarà del futuro dell’Unione Europea tramite un dibattito che coinvolgerà i 27 membri, per arrivare a definire un piano concreto entro il prossimo dicembre. «Quo vadis, Europa?», si chiede Juncker, e precisa subito dopo: «a 27». Citando i fondatori di un’ideale di unità, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, che non si rassegnarono all’oscurità dei tempi, richiama all’orgoglio, e all’essere «pionieri». Dinanzi alle sfide dell’innovazione tecnologica, del benessere dei cittadini, della globalizzazione, l’Unione Europea deve riuscire a cogliere le opportunità che i cambiamenti offrono, ma deve riuscire prima di tutto a imporsi degli obiettivi. Cinque scenari possibili, e intorno ad uno di essi gli stati membri potranno convergere.
#1 CARRYING ON. Il primo scenario significa essere elegantemente rassegnati. Accettare con garbo l’ineluttabilità dell’inconcludenza e piegarsi alla disfunzionalità del criterio di unanimità. L’agenda rimarrà quella del 2014, e con buona probabilità inattuata. Sebbene si parli di rinforzare il mercato unico, dotarsi di un assetto diplomatico e militare il più possibile unificato, e controllare meglio le frontiere esterne, è impensabile che si riesca a fare quello che fino ad esso è risultato impossibile. Soprattutto, il processo decisionale rimarrà farraginoso, tortuoso, fangoso: un po’ come quello italiano.
#2 NOTHING BUT THE SINGLE MARKET. Lo scenario peggiore, prodromo della disgregazione, è sicuramente ridurre l’Unione Europea a un semplice mercato unico. Il mercato unico più grande del mondo, ma viziato da difformità normative che costituirebbero barriere intangibili al libero scambio. E se le merci continuassero comunque a circolare liberamente, le persone potrebbero perdere questo diritto, consentendo di importare in Germania beni prodotti in Polonia, ma di non far arrivare in Germania lavoratori polacchi per coprire l’eccesso di domanda sul mercato del lavoro. Una prospettiva in cui, dinanzi alle sfide globali, l’Unione Europea non avrà voce, e ciascuno stato membro tenterà di difendere i propri interessi dinanzi alle potenze economiche e finanziarie del mondo. E allora il libero scambio non servirà quasi a niente.
#3 THOSE WHO WANT MORE DO MORE. Vivi e lascia vivere. Un clima più liberale e disteso informa il terzo scenario. La famosa Europa a più velocità, che piacerebbe a Juncker e sarebbe piaciuta anche al Regno Unito, dove la «ever further integration» diventa un vezzo un po’ chic, un accessorio, un sovrappiù. Insomma, una versione rafforzata di quell’Europa a più velocità che è sempre esistita. Quell’Europa di oggi in cui i confini dell’Unione Europea, dell’Euroarea, della libera circolazione delle persone e dello Spazio economico europeo si sovrappongono in un groviglio inspiegabile e confuso, fatto su misura dei particolarismi degli stati membri. Dovrebbe essere abbastanza per convincersi che l’Europa a più velocità rischia di aggiungere squilibri a una situazione già frammentata.
#4 DOING LESS MORE EFFECTIVELY. Fare di meno, ma meglio: può significare promuovere l’efficienza o segnare la fine del progetto europeo. Risorse limitate e impegni mirati sono alla base del quarto scenario, che impone delle priorità. «Dobbiamo mettere in chiaro cosa l’Europa può fare, e cosa no», ha ammonito Juncker. Ma questo dovrebbe significare che l’UE deve mostrare che i limiti con cui si confronta sono interamente dovuti alla mancanza di volontà degli stati membri nel cedere sovranità. Non dovrebbe essere un alibi per spogliare di competenze le istituzioni comunitarie, e praticare un concetto frainteso di sussidiarietà. Non basta la cooperazione, né servono accordi multilaterali: serve unità nell’implementare politiche.
#5 DOING MUCH MORE TOGETHER. Fare l’Unione Europea: il quinto scenario significa semplicemente questo. Un’Unione federale, che sappia contemperare le diversità, ma che rappresenti l’unità. In un’epoca di cambiamenti, non è possibile pensare che un singolo stato membro potrà fronteggiare sfide di proporzioni globali. Fare molto di più insieme significa prendere atto dei pericoli a cui i Paesi membri vanno incontro mentre si lasciano ammaliare dal populismo e smarriscono la loro memoria storica. Non ci sono soluzioni semplici per problemi complessi, e non basta tornare alle frontiere per rilanciare la piena occupazione. Se ne stanno accorgendo nel Regno Unito, dove l’inflazione ha cominciato a salire e ad erodere il potere d’acquisto degli operai e dei disoccupati, un tempo fieri di uscire dall’Unione Europea. Serve un progetto di ampio respiro, che rispetti la natura dell’Europa e della sua intrinseca diversità culturale e politica, ma che al contempo sappia scorgere le basi comuni su cui si è costruito un ideale, dopo due guerre e milioni di morti.
«Il nostro giorno più buio del 2017 sarà comunque più luminoso di ogni altro speso dai nostri antenati sul campo di battaglia», ha concluso Juncker. L’Unione Europea ha un grande potenziale, ma anche limiti consistenti, così com’è adesso. Per questo è fondamentale che lo slancio di riforma prenda avvio, e vada verso una soluzione che sappia guardare avanti, e che non dimentichi il passato.
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