Cinema da isolamento | 50 film da vedere ambientati in una sola location
Una lista di film ambientati in un unico luogo: stanze, auto, hotel, case e luoghi isolati
Dato che in tanti ci avete chiesto consigli per affrontare la quarantena, la nostra redazione ha deciso di selezionare cinquanta titoli per mostrare quanto un singolo spazio (una casa, una stanza, una vettura) possa trasformarsi se si guarda con occhi diversi. Abbiamo inserito alcuni classici, altre opere poco conosciute e vecchi film da recuperare, scegliendo soltanto pellicole ambientate al 90% in un unico luogo – il 10% comprende di solito l'ingresso dei personaggi nella location o alcuni stacchi sugli esterni – e marcando con il simbolo ⬤ quelle che si svolgono al 100% nella location indicata. In calce ad ogni categoria, i classici del genere, alcuni consigli aggiuntivi e le menzioni speciali: film con diverse altre location ma che sono celebri per la loro ambientazione principale – come l'autobus di Speed o il Bates Motel di Psycho. Da lunedì 30 marzo 2020 in poi, abbiamo aggiunto 3 categorie a settimana per accompagnarvi nella quarantena, fino ad arrivare a (poco più di) cinquanta pellicole. Le categorie complete sono: film ambientati in un luogo ristretto, in una stanza, in appartamento, in casa, in villa, in automobile, in un singolo edificio, in hotel, in un villaggio, su un treno, in un luogo isolato, su un’isola, più la categoria bonus con i film ambientati in mezzo al mare.
Soffocare
Film ambientati in un luogo ristretto
Lebanon (2009) | Samuel Maoz ◕
Quattro giovani soldati, a bordo di un carro armato, vivono lo scenario disumano del primo conflitto israelo-libanese avanzando dentro un villaggio bombardato dall’aeronautica israeliana. Inesperti e incapaci di orientarsi nelle vili dinamiche di odio che una guerra impone ai suoi combattenti, smarriscono la loro direzione sul campo di battaglia e tentano una fuga disperata verso un campo di girasoli. La stupefacente e claustrofobica opera prima di Samuel Maoz, girata interamente nell’abitacolo del mezzo, mostra la guerra dal mirino di un carro armato. Addestrato a vent’anni come artigliere, il giovane regista israeliano rende partecipe lo spettatore di uno sguardo coinvolto e impotente, che lascia lo spiraglio di un orizzonte pacifista in cui l’esistenza di nemici da abbattere non è ammessa. Leone d’oro a Venezia. Guerra 90’ ★★★½
Buried – Sepolto (2009) | Rodrigo Cortés ⬤
Un uomo si risveglia all’interno di una bara senza sapere il reale motivo della sua reclusione e ha come scopo finale quello di uscirne. Opera d’esordio di Rodrigo Cortés, che decide di ambientare tutto nella bara in cui il protagonista Ryan Reynolds è rinchiuso, il film si caratterizza per la quasi totale assenza di dialoghi, riuscendo a dare spessore, tramite l’aspetto visivo, anche ai “cattivi”. La misurata performance attoriale di Reynolds è al servizio di una regia calibrata e lineare che conferisce allo spettatore sensazioni ora asfissianti, ora rilassanti che riescono a rendere la tensione spaziale angusta. Pur col alcuni elementi eccessivi e con poca verosimiglianza, Buried racconta con efficacia una storia di claustrofobia affrontando anche tematiche politiche scomode come la guerra fra USA e Iraq. Tre premi Goya tra cui quello al miglior film. Thrill. 95’ ★★½
Cinema da camera
Film ambientati in una stanza
Il colpevole – The Guilty (2018) | Gustav Möller ⬤
Asger Holm, agente di polizia danese in attesa di processo, sconta i suoi errori rispondendo alle telefonate di emergenza in un call center della polizia. Nella sua ultima notte in servizio riceve la telefonata di Ibsen, una donna rapita che gli chiede aiuto. Scritto da Gustav Möller e Emil Nygaard Albertsen e diretto dallo stesso Möller, il film vive di tre elementi: l’interpretazione di Jakob Cedergren, che regge l’intero film sul suo volto, una scrittura calibrata al millesimo, una regia di un dinamismo sorprendente. Möller ribalta la spazialità canonica del cinema da camera puntando tutto non sulla descrizione dell’ambiente ma sul suo protagonista, con primi piani strettissimi e particolari del volto – occhi e orecchie – rendendo le parole e i rumori in cuffia elemento narrativo: sono i suoni a farci vedere la storia che il film racconta. Premio del pubblico al Sundance. Thrill. 85’ ★★★
El metodo (2005) | Marcelo Piñeyro
A Madrid, nello stesso giorno in cui si tiene l’incontro tra il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale e mentre le proteste no global invadono le strade della città, nella sala riunioni di un palazzo sette candidati sono riuniti per le selezioni finali di un importante posto di lavoro. Scoprono presto che non c’è nessun colloquio e che dovranno sottostare alle regole del metodo Grönholm, un particolare metodo di selezione che li mette uno contro l’altro, eliminandoli uno alla volta. Pur con una regia opaca e con qualche inutile digressione il film, tratto dalla pièce teatrale El mètode Grönholm di Jordi Galceran, si distingue per la scrittura brillante, il ritmo calibrato e l’aspra critica al sistema capitalista – amarissimo il finale, che racconta con lucidità il cinismo e le disparità di un mondo che non funziona. Due Premi Goya alla miglior sceneggiatura, scritta dallo stesso regista con Mateo Gil, e al miglior attore non protagonista per Carmelo Gómez. Dramm. 115’ ★★½
Exam (2009) | Stuart Hazeldine ⬤
Otto candidati partecipano ad un esame di assunzione per un ruolo di spicco in una grande azienda in una stanza chiusa: un tavolo, una sedia, un foglio e una matita a testa, ma nessuna domanda a cui rispondere. Con ottanta minuti a disposizione, dovranno collaborare per capire come superare il test. Thriller britannico scritto, prodotto e diretto da Stuart Hazeldine, il film seleziona un campione di umanità – quattro donne e quattro uomini di etnie e caratteristiche diverse chiamati White, Black, Blonde, Brown, in una declinazione sociologica de Le iene di Tarantino – per raccontare una storia, ambientata in un mondo in cui un virus ha scatenato un pandemia, che parla di individualismo e collettività. «Siamo in una situazione disorientante in cui il tempo è fondamentale, pensata per testare la nostra intelligenza e resistenza», dice a un certo punto Brown. «Per tirare fuori il peggio di noi, vuoi dire» – «O il meglio». Ammirevole il dinamismo della regia che rinchiude i personaggi nella claustrofobia della stanza senza mai soffocare lo spettatore. Candidato ai BAFTA come migliore opera prima. Thrill. 101’ ★★★
Insoliti criminali (1996) | Kevin Spacey
In fuga dopo il fallimento di una rapina andata storta, tre criminali si rinchiudono in un bar facendo ostaggio cinque persone. Assediati dalla polizia, usano gli ostaggi per guadagnare tempo in attesa di un'idea per venirne fuori. Misconosciuto esordio alla regia di Kevin Spacey, che a differenza del successivo Beyond the Sea (2004) non recita ma compare soltanto dietro la macchina da presa, il film si affida alla scrittura di Christian Forte e a un cast di alto livello – Matt Dillon, Gary Sinise, William Fichtner, Faye Dunaway, Viggo Mortensen – che Spacey dirige con la bravura del primo della classe. L'impianto scenografico del bar richiama il teatro, ma l'intelligenza della regia e la qualità delle interpretazioni lo fanno dimenticare, immergendo lo spettatore in un conto alla rovescia pieno di tensione e colpi di scena. Thrill. 97’ ★★★
Nodo alla gola (1948) | Alfred Hitchcock ⬤
In un attico newyorkese con vista mozzafiato sui grattacieli di Manhattan due giovani benestanti uccidono un amico e nascondono il corpo in una cassapanca, subito prima di un ricevimento che riempirà il salotto di quello stesso appartamento di ignari invitati. Il film è tratto dall’opera teatrale del 1929 di Patunrick Hamilton ispirata al famoso caso Leopold-Loeb: due studenti di Chicago avevano ucciso un loro compagno per il puro gusto di uccidere e manifestare un’autoproclamata superiorità. Così come nell’opera di Hamilton l’azione si svolgeva in tempo reale, dalle 19.30 alle 21.15, Hitchcock decise di raccontare la storia in un unico sequenza, con dieci stacchi di montaggio mimetizzati, che desse l’impressione della continuità dell’azione e di un unico movimento di camera. Un ennesimo virtuosismo che trasformava lo spettatore in co-protagonista, con John Dall, Farley Granger e John Stewart, legato come con una corda – Rope (corda) è il titolo originale – ai personaggi del film. Thrill. 80’ ★★★½
La parola ai giurati (1957) | Sidney Lumet ◕
Dodici giurati si riuniscono in una stanza per decidere le sorti di un ragazzo accusato di omicidio: tutti componenti della giuria sembrano convinti della sua colpevolezza, tranne il giurato numero 8. Esordio folgorante del 33enne Sidney Lumet con Henry Fonda protagonista, il film gioca tutto sulla scrittura e sulle grandi interpretazioni attoriali – Jack Klugman, Martin Balsam, Lee J. Cobb – dei protagonisti senza nome, chiamati soltanto con numeri da 1 a 12. Tratto dal testo 12 Angry Men – “dodici uomini arrabbiati”, titolo originale del film – di Reginald Rose scritto prima per la tv, poi portato a teatro e trasposto nuovamente in due remake d’autore: la versione televisiva del 1997 di William Friedkin con il titolo La parola ai giurati e 12 di Nikita Mikhalkov del 2007, in cui l’accusato è un giovane ceceno (a differenza del ragazzo portoricano dell’originale) e il processo si tiene a Mosca. Dramm 95’ ★★★★
Vedi anche: Venere in pelliccia (2016) di Roman Polanski ⬤, Casotto (1977) di Sergio Citti ⬤, Le lacrime amare di Petra von Kant (1972) di Rainer Werner Fassbinder ⬤.
Una casa in città
Film ambientati in appartamento
Carnage (2011) | Roman Polanski ◕
In un elegante appartamento di Brooklyn due coppie – medioborghesi colti i Longstreet, padroni di casa (parte lesa), ricchi e prepotenti i Cowan – provano a risolvere cordialmente lo spiacevole e violento litigio tra i rispettivi figli adolescenti consumatosi in un parco di New York. I convenevoli iniziali fra le due famiglie seguono come da manuale le norme di civiltà e buona maniera, ma la messa in scena formale ben presto collassa, trasformandosi in un vero e proprio massacro dialettico. Polanski, non nuovo all’ingabbiamento dei suoi personaggi, consuma fra le pareti domestiche un dramma da camera in cui le maschere e le convenzioni sociali vengono definitivamente abbattute. Tratto dalla pièce teatrale Il dio del massacro di Yasmina Reza, co-sceneggiatrice del film, Carnage (carneficina) rivela con ironia e lucidità estrema l’impossibilità di porre ordine al reale con gli strumenti inconsistenti e vacillanti che la società impone. Dramm. 80’ ★★★½
Il delitto perfetto (1954) | Alfred Hitchcok
Il marito al verde scopre che la ricca moglie – Grace Kelly, co-protagonista anche dei successivi due film di Hitchcock La finestra sul cortile e Caccia la ladro – lo tradisce con uno scrittore americano. Temendo che lo possa lasciare decide di sbarazzarsi di lei, inscenando un “delitto perfetto” che gli permetta di non rinunciare alla sua eredità. Trasposizione della commedia teatrale Dial M for Murder (titolo originale della pellicola), fu girato in soli trentasei giorni con una tecnica in 3D in una delle prime sperimentazioni; come dichiara Hitchcock, nel film ci sono molte inquadrature dal basso verso l’alto proprio ad accentuare l’impressione della profondità. Anche se il regista inglese non fu particolarmente soddisfatto del lavoro, rimane una delle sue opere più celebri, ambientata quasi interamente all’interno del soggiorno della casa. Nonostante l’unica ambientazione, Hitchcock dà ritmo alla narrazione e mantiene la tensione costantemente alta tramite un intelligente uso del montaggio, movimenti di macchina eleganti e dialoghi serrati interpretati da un cast impeccabile – straordinari l’inquietante protagonista di Ray Milland e l’assassino di Anthony Dawson. Dramm. ★★★½
Festa per il compleanno del caro amico Harold (1970) | William Friedkin
Un gruppo di omosessuali della New York bene si riunisce in casa per festeggiare il compleanno del loro amico Harold. Alan, unico eterosessuale tra tutti gli invitati, irrompe nella festa portando scompiglio nel delicato equilibrio di relazioni tra i partecipanti. Si apre così un percorso di autoanalisi che porta ognuno di loro a scoprire la maschera portata nei confronti degli altri e di se stesso. The Boys in The Band arriva sullo schermo dopo il successo della pièce teatrale portata in scena a Broadway, con gli stessi protagonisti del palcoscenico teatrale a vestire i panni dei personaggi sullo schermo. La nota di spicco è proprio l’interpretazione, la recitazione degli attori, con la regia di Friedkin (Il braccio violento della legge, L’esorcista) che si mette al loro servizio senza particolari guizzi creativi e con movimenti di macchina ridotti all’osso. Nel testo il punto di forza della narrazione: due ore in cui si mettono a nudo veleni, rancori e pregiudizi comuni a molti di noi. Dramm. 119’ ★★★
Interview (2007) | Steve Buscemi
Un giornalista politico vorrebbe andare a Washington per raccontare uno scandalo, ma si ritrova bloccato a New York per intervistare Katya, star della tv spazzatura e di film di serie B. Per le cure di primo soccorso a causa di un colpo alla testa i due finiscono nel loft di lei, dove l’intervista continua tra alcol, insulti e intimità. Con una straordinaria coppia di protagonisti – Sienna Miller e Steve Buscemi anche regista –, Interview è una battaglia smaliziata a colpi di parole che smaschera le ipocrisie e le debolezze dell’informazione, dell’uomo, della celebrità. Su tutto, prevale una critica di fondo al mondo dei media e della comunicazione che prevale su tutto il resto. Insieme a Blind Date di Stanley Tucci è uno dei remake americani delle opere di Theo Van Gogh, regista olandese (e bisnipote dell’omonimo mercante d’arte fratello di Vincent) ucciso da un estremista islamico nel 2004 per i contenuti del suo cortometraggio Submission, che raccontava maltrattamento delle donne nelle famiglie musulmane. Dramm. 83’ ★★★
Gli occhi della notte (1967) | Terence Young ◕
Una banda di criminali deve recuperare una bambola contenente droga finita casualmente nell’appartamento di una giovane donna non vedente, sola in casa. Susy, interpretata da Audrey Hepburn (candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista), deve difendersi dalle loro insidie e cercare di mettersi in salvo. Ambientato quasi del tutto all’interno dell’appartamento di Susy, il film del britannico Terence Young – celebre per aver diretto tre film della serie di 007 – riesce mantenere costante la tensione narrativa coadiuvata da un intelligente uso di luci e ombre. Nelle ultime sequenze l’oscurità diviene protagonista del racconto – Wait Until Dark, recita il titolo originale – e si fa mezzo stilistico con cui creare suspense e dare forma a scene suggestive, ma è anche una scelta narrativa coerente con la cecità della donna (il buio come una sorta di visione in soggettiva) che con l’avanzare della narrazione si fa sempre più spazio al centro della storia. Un'inquietante Alan Arkin nel ruolo del cattivo. Thrill. 107’ ★★★½
Classici: Amour (2012) di Michael Haneke ◕, La famiglia (1987) di Ettore Scola ⬤, La finestra sul cortile (1954) di Alfred Hitchcock ⬤, Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola. Vedi anche: Dillinger è morto (1969) di Marco Ferreri, Repulsion (1965) di Roman Polanski, Parenti serpenti (1992) di Mario Monicelli, Melbourne (2014) di Nima Javidi. Menzioni speciali: L’appartamento (1960) di Billy Wilder, L’inquilino del terzo piano (1976) di Roman Polanski.
Tra le mura domestiche
Film ambientati in una casa
Dogtooth (2009) | Yorgos Lanthimos
Una coppia con i loro tre figli vive chiusa nella propria abitazione facendo credere ai ragazzi che la casa sia il mondo e che al di fuori del loro recinto non ci sia nient’altro. I protagonisti sono persone senza identità – a partire dai loro nomi Madre, Padre, Figlio, Figlia maggiore e Figlia minore – tutto è diverso all’interno del loro universo fittizio, persino le parole hanno significati diversi e gli aeroplani sono solo dei modellini. Distribuito anche con il titolo originale Kynodontas, il film riesce a mantenere in equilibrio l’aspetto distopico e grottesco con quello realistico immergendo lo spettatore in un incubo perturbante. Prima di The Lobster (2015) e La favorita (2018) – candidato a 10 premi Oscar – il 36enne Lanthimos gira questo piccolo capolavoro che condensa molte tematiche a lui care, mostrando già una spiccata identità poetica e stilistica. Premio Un Certain Regard a Cannes e nomination agli Oscar come miglior film straniero. Grott. 94’ ★★★½
La casa nera (1991) | Wes Craven
Grullo, un ragazzino del ghetto con una madre malata e senza soldi, non si tira indietro quando un ladruncolo gli proporne un furto di monete d’oro. Sarebbe un gioco da ragazzi, se non fosse che la casa da rapinare si rivela un vero e proprio incubo. Craven confeziona un horror atipico con una regia (fatta eccezione per alcuni inusuali angoli di ripresa) piuttosto classica e di maniera, ma la sceneggiatura ben scritta, al contrario, ne fa un’opera divertente e beffarda, un mix tra fiaba e noir. Il tutto proiettato in un’ottica politico-sociologica che lo rende una metafora del razzismo della società americana. I cunicoli della casa dove stanze, corridoi e finestre si fanno un vero e proprio labirinto: tratteggiano un’opera dal carattere sfaccettato, capace di sorprendere lo spettatore con idee apparentemente impossibili da conciliare. Horr. 102’ ★★★
Hard Candy (2005) | David Slade
La 14enne Hayley e il 30enne Jeff chattano da un po’ su internet e si danno appuntamento al Nighthawks per conoscersi di persona. Lei lo provoca e insieme vanno a casa di lui, dove le cose prendono una brutta piega. Diretto dal regista di 30 giorni di buio (2007) e l’episodio interattivo di Black Mirror Bandersnatch (2018), il film è insieme un crudo atto di denuncia nei confronti delle molestie sui minori e un tesissimo thriller scritto e interpretato benissimo da Patrick Wilson e da una giovane (e già strepitosa) Ellen Page, due anni prima del successo di Juno. Pur lasciandosi andare a qualche eccesso sincopato da videoclip nelle sequenze più violente, Slade dirige con eleganza e sfrutta al meglio lo spazio e le scenografie, con i primi e primissimi piani incorniciati dai colori che caratterizzano ogni stanza: il rosso – come la felpa che Hayley indossa a mo’ di moderna Cappuccetto – per il salotto e il corridoio, il giallo della studio, il rosa della camera da letto. Originali titoli di testa (curati da Momoco/Maguffin e disegnati da Miki Kato) che si muovono per le stanze di una casa stilizzata. Thrill. 103’ ★★★
Madre! (2017) | Darren Aronofsky ⬤
Un poeta in crisi di ispirazione si ritira con la giovane moglie in una grande casa nella foresta, interamente ricostruita dalla donna in seguito ai danni di un misterioso incendio. L’arrivo di una coppia di visitatori inaspettati mina la serenità dei due coniugi. In Madre!, amato e odiato fin dall’anteprima veneziana, Aronofsky immerge lo spettatore nei deliri della coppia protagonista – Jennifer Lawrence e Javier Bardem – e nel potere affabulatorio e ipnotico del cinema, confinando nello spazio ristretto dell’ambientazione domestica una metafora universale, che attinge ai temi biblici cari al regista newyorkese. L’ossessione che macera dall’interno i personaggi aprendo le porte della follia, dell’incubo e della dipendenza – fulcro della poetica estrema di Aronofsky – qui esplode distruggendo ogni forma di verosimiglianza, interna per i protagonisti ed esterna per gli spettatori. Dramm. 120’ ★★★½
Private (2004) | Saverio Costanzo ⬤
Mohammed, professore di letteratura inglese, vive con la moglie e i cinque figli in una casa nei Territori occupati in Palestina. Per la sua posizione strategica, l’abitazione viene occupata da una pattuglia dell’esercito israeliano e divisa in tre zone: Zona A, il salone dove vive la famiglia; Zona B, il primo piano dove la famiglia può andare soltanto con il permesso della pattuglia; Zona C, il secondo piano dove abitano i soldati. Girato in digitale con un linguaggio in bilico tra l’esordio e la sperimentazione, il primo film di Saverio Costanzo è una grande sineddoche della situazione palestinese, di cui racconta l’universalità attraverso le dinamiche particolari di una casa, e della forza – e dei limiti – della lotta non violenta. L’interpretazione del protagonista Mohammad Bakri, nel complicato equilibrio tra resistenza e conservazione del suo nucleo familiare, lascia il segno. Pardo d'oro a Locarno e David di Donatello e Nastro d'argento al miglior regista esordiente. Dramm. 90’ ★★★
Settembre (1987) | Woody Allen ⬤
Sei personaggi in cerca di amore si alternano nella casa di campagna di Lane, con l’amica Stephanie, il giovane scrittore Peter, la madre, il compagno e un vicino di casa, in un weekend che sarà rivelatore. Film da camera di un Allen minore dalle tinte autunnali, bergmaniano, è la declinazione sentimentale del suo Interiors (1978), che viveva delle stesse dinamiche in chiave psicologica. La pellicola, densa e struggente, fu girata una volta con un cast differente e poi, dopo una prima visione che non aveva soddisfatto il regista newyorkese, rigirata di nuovo. Con il trio Mia Farrow-Sam Waterson-Dianne West che brilla per intensità e bravura. Tutto girato negli ambienti della casa, in cui Allen entra ad inizio film con un lento movimento in avanti e esce nel finale con un movimento speculare. Dramm. 82’ ★★★
Classici: La casa (1981) di Sam Raimi, Funny Games (1997) di Michael Haneke e l’omonimo remake americano Funny Games (2007) dello stesso regista, La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero, The Others (2001) di Alejandro Amenábar. Vedi anche: Compagni di scuola (1988), Benvenuti a casa Gori (1996) di Alessandro Benvenuti, Ore disperate (1955) di William Wyler, Regalo di Natale (1986) di Pupi Avati.
Nelle stanze di lusso
Film ambientati in una villa
L’angelo sterminatore (1962) | Luis Buñuel ◕
Una famiglia di alta borghesia dopo essere stata a teatro decide di invitare degli amici a cena, mentre mangiano iniziano ad accadere dei fatti insoliti, la servitù, ad eccezione del maggiordomo, abbandona tranquillamente il palazzo, un posacenere viene lanciato senza alcun motivo contro una finestra e un orso insieme a un gregge di pecore passeggia indisturbato nelle stanze della villa. Luis Buñuel è stato uno dei più grandi rappresentanti del cinema surrealista – Un chien andalou (1929) e L’âge d’or (1930) girati insieme a Salvator Dalí – e con L’angelo sterminatore, realizzato un anno dopo aver vinto la Palma d’oro a Cannes per Veridiana (1961), tramite una grande allegoria rinchiude tutta l’opera all’interno di una casa dove i protagonisti sono dei borghesi prigionieri della loro appartenenza sociale. Dramm. 95’ ★★★½
Festen (1998) | Thomas Vinterberg
Una famiglia dell’alta borghesia danese si riunisce in una sfarzosa villa per il sessantesimo compleanno del capofamiglia. Tutti sembrano felici, ma il clima gioviale del pranzo viene spezzato dal discorso del primogenito Christian, che denuncia i comportamenti pedofili e incestuosi del padre, ritenuto colpevole del suicidio della sua gemella Linda. Festen è tra i capisaldi di Dogma 95, il movimento fondato a Copenhagen nel 1995 da von Trier e lo stesso Vinterberg, firmatari del manifesto che si contrapponeva apertamente alle tendenze sfarzose e agli investimenti milionari del cinema del tempo. Girato con tecniche pressoché amatoriali che gli conferiscono una brutalità estrema, Festen è un film antiborghese impregnato di ferocia e di un impeto espressivo in grado di demolire senza alcuna pietà ogni convenzione familiare. Premio della giuria a Cannes. Dramm. 106’ ★★★½
Gli insospettabili (1972) | Joseph Mankiewicz ⬤
Un ricco scrittore inglese di romanzi gialli invita l’amante di sua moglie nella propria villa di campagna per fare un accordo con lui. Il giovane, parrucchiere per signore di origini italiane, si trova di fronte a un’offerta molto particolare e, forse, a una trappola. Tratto dalla commedia teatrale di Anthony Schaffer Sleuth, investigatore e “segugio” in gergo e titolo originale del film, Gli insospettabili è un testa a testa tra due dei più grandi attori inglesi delle rispettive generazioni – Laurence Olivier e Michael Caine – e un’aspra lotta di classe e generazionale travestita da gioco intellettuale. In equilibrio schizofrenico tra grottesco e thriller, giallo e commedia, il film diverte e inquieta come i giochi, gli automi e i gingilli della villa dello scrittore, da cui il recente Knives Out – Cena con delitto ha attinto a piene mani. Letteralmente rifatto in versione contemporanea – villa ipertecnologica, minimalismo scenografico – da Kenneth Branagh nel 2007, con Jude Law nel ruolo che fu di Michael Caine e lo stesso Caine al posto di Laurence Olivier. Dramm. 138’ ★★★★
Signori, il delitto è servito (1985) | Jonathan Lynn
Sei ospiti sono invitati in una villa dove il maggiordomo che li accoglie gli ricorda degli pseudonimi che dovranno usare per la serata: Professor Plum, Signora Peacock, Signorina Scarlett, Colonne Mustard, Signora White, Signor Green, come i personaggi del famoso gioco da tavolo Cluedo – Clue, “indizio”, è anche il titolo originale – al cui il film è ispirato. La minaccia di un ricatto a cui i sei ospiti sono stati sottoposti conduce ad un omicidio. Da soggetto ideato con John Landis, il regista Jonathan Lynn lavora sui cliché del giallo rielaborandoli coi toni della commedia, riuscendo a cucire un’ora e mezzo di risate, misteri e colpi di scena in una perfetta commistione di generi riuscendo in ciò che non era riuscito al suo più celebre predecessore Invito a cena con delitto. Nel cast fenomenale – con Madeline Kahn e Christopher Loyd tra i tanti – spicca l’esilarante interpretazione di Tim Curry nel ruolo del maggiordomo Wadsworth. Giallo 94’ ★★★
8 donne e un mistero (2002) | François Ozon
Francia, anni Cinquanta. In una villa di campagna una ricca famiglia quasi tutta al femminile sta preparando i festeggiamenti natalizi quando Marcel, padre di famiglia, viene trovato accoltellato nel proprio letto. Una nevicata e la linea telefonica interrotta costringono le otto donne (figlie, sorelle, parenti, cuoche e cameriere) a cercare di risolvere il mistero. Con un cast che riunisce alcune delle migliori interpreti femminili del cinema francese – tra le tante Catherine Deneuve, Isabelle Huppert, Fanny Ardant – Ozon dirige un giallo in toni di commedia dove la brillantezza delle interpretazioni si accompagna a quella della messinscena, basata su colori vivaci e un dinamismo da musical, con otto canzoni cantate da altrettante protagoniste. Orso d’argento al miglior contributo artistico per tutto il cast femminile al Festival di Berlino. Comm. 103’ ★★★
Sussurri e grida (1972) | Ingmar Bergman
Agnese sta per morire di cancro, accudita dalla governante Anna e dalle due sorelle Maria e Karin. Alla sua scomparsa le tre donne si ritrovano a dover affrontare il dolore e la rassegnazione per il distacco, sulla scia di ricordi sofferti e insidiosi che affiorano durante la rielaborazione del lutto. Bergman tinge di simbolismo e di colore la sua tela cinematografica, con dure pennellate espressioniste che via via sembrano trasformarsi nei tratti più sfumati dell’impressionismo. Le protagoniste, completamente avvolte nel rosso, nel nero o nel bianco scenografici, cercano serenità in balia di pulsioni profonde e dei crismi di una società borghese priva di pietas. Quella stessa pietas immortalata in una delle scene più straordinarie del film – che rievoca la Pietà di Michelangelo – in cui Anna accoglie nel seno materno il corpo privo di vita di Agnese, in memoria della sua piccola scomparsa prematuramente. Dramm. 91’ ★★★★
Classici: Dieci piccoli indiani (1965) di René Clair, L’anno scorso a Marienbad (1961) di Alain Resnais, Ecco l’impero dei sensi (1976) di Nagisa Oshima, La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri, Invito a cena con delitto (1976) di Robert Moore. Vedi anche: Gosford Park (2001) di Robert Altman. Menzione speciale: Arca Russa (2002) di Aleksandr Sokurov, ambientato nel museo dell’Ermitage, ex palazzo reale di San Pietroburgo.
Al volante
Film ambientati a bordo di una vettura
Duel (1971) | Steven Spielberg
Un venditore è in viaggio d’affari a bordo della sua auto quando decide di sorpassare un’autocisterna che procede a bassa velocità. L’autista del camion, apparentemente offeso dal sorpasso, comincia ad inseguirlo per buttarlo fuori strada e non ha intenzione di lasciarlo andare. Esordio del 24enne Steven Spielberg, questo thriller on the road vive tutto delle atmosfere angoscianti delle deserte vie americane e della maestria registica, in grado di tenere alta la tensione di un film girato interamente su strada, creando un cattivo leggendario che lo spettatore non vede mai. Tratto da un racconto di Richard Matheson, autore anche della sceneggiatura, nacque come film tv per poi raggiungere il successo internazionale nella sua versione cinematografica allungata di un quarto d’ora. Tutto in auto tranne per uno stop a una cabina telefonica e un altro in una stazione di servizio. Thrill. 88’ ★★★½
Locke (2013) | Steven Knight ⬤
Il telefono squilla incessantemente, la cinepresa si muove da un lato all’altro dell’abitacolo cercando l’angolazione perfetta per inquadrare l’uomo al volante, Ivan Locke: capo cantiere di una ditta di costruzioni, padre di famiglia e in procinto di avere un altro figlio da Bertah. Locke è l’unico personaggio che vediamo in scena ma le sue continue telefonate portano lo spettatore dentro il suo mondo fino a creare empatia con il protagonista e ad attribuire particolari caratteristiche a ciascun personaggio con cui si relaziona. Il film si regge sulle spalle di Tom Hardy cha dà un’ulteriore prova del suo talento. Il britannico Steven Knight – sceneggiatore di Piccoli affari sporchi (2002), La promessa dell’assassino (2007) e della serie Tv Peaky Blinders – si affida ad un montaggio serrato e a rapidi movimenti di macchina per rendere la narrazione frenetica, riuscendo a mantenere alta la tensione per tutto il film pur non scendendo mai dalla vettura. Dramm. 85’ ★★★½
Taxisti di notte (1991) | Jim Jarmusch
Cinque città, cinque episodi, cinque orologi che segnano l’ora con il rispettivo fuso e altrettante storie tutte ambientate tra America (Los Angeles, New York) e Europa (Parigi, Roma, Helsinki). Ogni vicenda narra un fugace incontro tra un tassista e il suo cliente, conoscenze fortuite nel cuore della notte che daranno vita a racconti drammatici, comici e persino surreali. L’opera condensa molte tematiche e tratti stilistici di Jarmusch come la suddivisione in episodi, la ripetizione degli spazi d’azione e la forte dose di disillusione che caratterizza i personaggi – tra gli autisti anche Winona Ryder e Giancarlo Esposito. Conosciuto in Italia principalmente per la presenza di Roberto Benigni – grande amico di Jarmusch e già attore in Daunbailò – nel ruolo del tassista spericolato che indossa occhiali neri mentre si aggira per le strade di una Roma deserta, Taxisti di notte riesce a calibrare gli aspetti drammatici e comici puntando tutto sulla forza della parola, la vera protagonista di un racconto che inizia all’ora del tramonto a Los Angeles e termina alle prime luci dell’alba nella fredda e desolante Helsinki. Episodi 125’ ★★½
Taxi Teheran (2015) | Jafar Panahi
Un tassista interpretato dallo stesso Jafar Panahi si aggira per le strade della capitale iraniana interagendo con donne e uomini di età e stato sociale diverso. Prendendo spunto da Dieci (2002) del connazionale Abbas Kiarostami, il regista racconta le problematiche sociali del suo paese e le barriere che si incontrano nel fare cinema. Panahi infatti gira l’opera clandestinamente dato che, dopo essere stato denunciato nel 2010, gli è stato vietato di fare film per i prossimi vent’anni. Il film colpisce per la sua originalità, ben riuscendo a calibrare l’aspetto comico con quello drammatico restituendoci con i pochi mezzi a sua disposizione – tre videocamere, una macchina fotografica digitale e uno smartphone – un affresco veritiero della sua nazione senza mai abbandonare il volante della suo taxi. Orso d’oro al Festival di Berlino. Dramm. 82’ ★★★
Menzioni speciali: Punto zero (1973) di Richard C. Sarafian, Convoy – Trincea d’asfalto (1978) di Sam Peckinpah, su un gruppo di camionisti in fuga a bordo dei loro camion, Alien (1979) di Ridley Scott, ambientato sulla astronave Nostromo, Speed (1994) di Jan de Bont, a bordo di un autobus.
Tra quattro mura
Film ambientati in un singolo edificio
Cube – Il cubo (1997) | Vincenzo Natali ⬤
Un eterogeneo gruppo di persone si ritrova intrappolato in una struttura costituita da diverse stanze cubiche; dovranno trovare l’uscita con l’ingegno, superando una lunga serie di trappole mortali di cui è disseminato il “cubo”. Definirlo un film claustrofobico è riduttivo, piuttosto Cube è un’ulteriore definizione di claustrofobia. Un truculento rompicapo matematico in cui i cinque personaggi sono finiti per caso, rapiti e ingabbiati nel “cubo” da mani misteriose. Un sadico esperimento in cui persone di diversa estrazione sociale e differente attitudine psicologica hanno due soli modi per uscirne vivi: collaborare o sacrificare gli altri per salvare se stessi. Miglior film canadese al Toronto International Film Festival. Il regista canadese di origini italiane Vincenzo Natali, negli anni, ha poi diretto i film Cypher e Splice e due episodi della serie Westworld. Horr. 90’ ★★★
Breakfast Club (1985) | John Hughes ◕
Cinque adolescenti, per punizione, devono passare il sabato nella scuola che frequentano e scrivere un tema dal titolo “Chi sono io?”. Nessuno di loro si conosce bene e nessuno conosce le ragioni per cui gli altri vengono puniti. La pellicola di John Hughes – tra i più celebri esponenti della commedia americana di fine secolo e sceneggiatore di classici del genere come National Lampoon’s Vacation, Una pazza giornata di vacanza e Mamma, ho perso l’aereo – non è esente da qualche superficialità nella caratterizzazione dei giovani protagonisti, ma restituisce un onesto spaccato di cosa significa essere giovani, in cerca di emancipazione, ribellione e identità – su tutti iconica l’interpretazione di Judd Nelson nei panni dell’anticonformista Bender. Il celebre brano Don’t you (Forget About Me), che apre e chiude il film, fu scritto da Keith Forsey e Steve Schiff per i Simple Minds, che lo eseguirono controvoglia: Breakfast Club lo rese un successo globale ed è ancora una delle canzoni più conosciute della band. Comm. 96’ ★★½
Climax (2018) | Gaspar Noé ⬤
Un gruppo di ballerini francesi si riunisce in un vecchio collegio in disuso in mezzo alla neve per le prove generali del nuovo spettacolo. Durante la festa che segue le prove qualcuno mette degli acidi nella sangria e le cose prendono una piega delirante. Con una grande potenza visiva e cromatica, il sovversivo autore argentino Gaspar Noé gira un’opera estrema, ai limiti della sperimentazione, in cui la droga è il motore per far emergere le pulsioni e gli istinti al cuore dei personaggi e dell’uomo: la rabbia, la sessualità, la violenza, la paura. La narrazione è basata su lunghi fluidi piani sequenza in cui la macchina da presa insegue i personaggi – tutti ballerini professionisti – che danzano, litigano, giocano, scopano e piangono nei dedali inquietanti dell’edificio. Dramm. 97’ ★★★
Delicatessen (1991) | Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro
In una Francia post-apocalittica e poeticamente nostalgica gli abitanti di un condominio alquanto insolito, per sfuggire alla carestia, ricorrono al cannibalismo degli ex vicini di casa che diventano affettati e incartati. Un gruppo di vegetariani, i Trogloditi, fanno da contraltare finendo per scatenare un vero e proprio delirio. Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet, regista de Il favoloso mondo di Amélie, dirigono un film spiazzante e rocambolesco che grazie al mickeymousing – una tecnica cartoonistica in cui la messinscena viene enfatizzata da suoni e musica – dà vita a una diegesi alquanto surreale. Così l’ambientazione in un unico luogo, composto a sua volta da tanti microambienti, si frammenta ed è il suono a definire i vari stacchi, divenendone allo stesso tempo il collante. Composto da personaggi stravaganti, immersi in un’atmosfera sospesa, e girato con inventiva e angolazioni al limite dell’assurdo che ne fanno un’apoteosi del bizzarro. Grott. 97’ ★★★½
Lanterne rosse (1991) | Zhang Yimou
Songlian è una studentessa universitaria che dopo la morte del padre diviene la moglie di Chen Zuoqin, un ricco signore che vive in un grande palazzo in compagnia delle tre mogli. La ragazza diviene così la quarta signora. Ogni donna attende che siano poste le lanterne rosse davanti alla loro porta, questo significa che il padrone passerà la notte con essa e che la rispettiva signora disporrà di privilegi e onori nel giorno successivo. Con l’incedere della narrazione il film diviene sempre più una lotta di potere, tra gelosie e azioni scellerate che suscitano attriti e sofferenze. La regia di Yimou, caratterizzata da moltissimi piani fissi, dipinge un quadro della vita di palazzo dove l’arancio caloroso degli interni si alterna al blu glaciale degli esterni, creando un gioco di contrasti visivi che appare conforme e speculare allo stato d’animo della protagonista. Leone d’argento alla miglior regia al Festival del Cinema di Venezia. Dramm. 126’ ★★★★
Classici: Suspiria (1977) di Dario Argento, horror soprannaturale ambientato in un'accademia di danza. Vedi anche: Il demone sotto la pelle (1975) di David Cronenberg, in un complesso residenziale dove si diffonde un parassita contagioso, Identità sospette (2006) di Simon Brand, dove quattro uomini si risvegliano senza memoria in un magazzino isolato, Nel nome del padre (1972) di Marco Bellocchio, in cui un ragazzo viene mandato in un collegio con una forte impronta religiosa. Menzione speciale: Distretto 13 (1976) di John Carpenter.
In albergo
Film ambientati in un hotel
The Big Kahuna (1999) | John Swanbeck ◕
Nella suite di un hotel di Wichita, Kansas, tre venditori di lubrificanti industriali si ritrovano per mette a segno l’affare che risolleverà le sorti della loro azienda: chiudere un contratto con “The Big Kahuna”, il pesce più grosso della convention a cui stanno partecipando. Nell’attesa di incontrarlo discutono del lavoro e della vita, di donne e di religione. Una regia asciutta e essenziale al servizio della scrittura e delle interpretazioni, magistrali quelle di Kevin Spacey e Danny De Vito. Tratto dall’opera teatrale Hospitality suite di Roger Rueff, che ne ha scritto anche la sceneggiatura, vale per il modo in cui scardina le convinzioni dello spettatore nei confronti dei singoli personaggi e per la leggerezza, che mai si traduce in superficialità, con cui tocca i nodi centrali della vita dell'uomo. Celebre il finale del film sulle note del brano Everybody’s Free (to Wear Sunscreen), versione musicata (da Baz Luhrmann) di un articolo di Mary Shmich uscito sul Chicago Tribune nel 1997, con un testo e un significato semplice e profondo come la pellicola che lo include. Tutto ambientato in hotel se si esclude una sequenza di pochi secondi per le strade di Wichita. Comm. 90’ ★★★
Le conseguenze dell’amore (2004) di Paolo Sorrentino
La vita di Titta Di Girolamo si trascina monotona e piatta in un albergo di lusso di Lugano, in Svizzera, dove vive lontano dall’ex moglie e dai figli che non vogliono avere a che fare con lui. I suoi unici passatempi le giornate con gli ospiti e i gestori della struttura, la dose di eroina del mercoledì e i viaggi in banca per conto della mafia, con cui ha un debito da saldare. Opera seconda di Paolo Sorrentino, il film è un'ode sussurrata alla vita, all'amore, all'amicizia. Lo sostengono i quadri visivi e i silenzi di Toni Servillo, che si aggira nelle atmosfere rarefatte del film e le riempie con il suo sguardo malinconico. Se Servillo si impone, intorno a lui Sorrentino dipinge una galleria di personaggi unici che da qui in poi caratterizzeranno il suo cinema. 5 David di Donatello e 4 Nastri d’argento. Dramm. 100’ ★★★½
The Lobster (2015) | Yorgos Lanthimos
In un futuro non troppo lontano un grande albergo accoglie tutti i single, che hanno 45 giorni a disposizione per innamorarsi e formare una nuova coppia, requisito necessario per vivere in società. Chi non troverà un nuovo partner verrà trasformato in un animale a sua scelta: David, interpretato da Colin Farrell, sceglie l’aragosta, the lobster. Una distopia in cui lo scettro oppressivo non è detenuto da un governo totalitario, ma da una società che impone i suoi assurdi canoni imbrigliando gli individui nei suoi schemi bizzarri. Co-sceneggiato e diretto dal greco Yorgos Lanthimos, già autore del claustrofobico Dogtooth, vive in alternanza tra commedia e grottesco con punte sincere di dramma e sentimento. Premio della giuria al Festival di Cannes 2015. Grott. 90’ ★★★½
1408 (2007) | Mikael Håfström
Uno scrittore specializzato nello smascherare leggende sui luoghi infestati dagli spiriti si chiude nella stanza 1408 del Dolphin Hotel di New York per sfatarne il mito, ma una serie di allucinazioni cominciano a perseguitarlo, tra vecchi ospiti suicidi, quadri che si animano e visioni di se stesso mentre si toglie la vita. La stanza lo vuole morto e farà di tutto perché questo accada. Con John Cusack, scrittore scettico poi vittima degli eventi, e Samuel L. Jackson, gestore dell’hotel riluttante nel concedere la stanza a chiunque la chieda, è un thriller psicologico dalle tinte orrorifiche. Più che per il lato horror, però, vale per l’atmosfera in cui immerge lo spettatore grazie alle scenografie di Andrew Laws, alla fotografia Benoît Delhomme e all’ottima interpretazione di Cusack. Tratto da un omonimo racconto di Stephen King. Horr. 104’ ★★½
Un sogno chiamato Florida (2017) | Sean Baker
Tra edifici colorati simili a castelli incantati e luoghi senza identità il regista Sean Baker racconta la sua nazione attraverso lo sguardo di Moonee, una bambina di sei anni che vive in uno squallido motel insieme alla madre Halley. Un sogno chiamato Florida mostra il guscio di una società che dall’esterno appare illibata e integra – come il motel del film – ma al cui interno non è rimasto nient’altro che povertà e disillusione. Con un cinema sempre incentrato su tematiche sociali, come il precedente Tangerine (2015) – girato con un iPhone – dove la protagonista è una prostituta transgender appena uscita dal carcere, Baker racconta le illusioni soffocate di un sogno che per molti americani non è mai iniziato o si è trasformato in un incubo. Dramm. 115’ ★★★
Classici: Shining (1980) di Stanley Kubrick. Vedi anche: Bug – La paranoia è contagiosa (2006) di William Friedkin, Four Rooms (1995) di Robert Rodriguez, Tape (2001) di Richard Linklater.
Città in miniatura
Film ambientati in un villaggio
Dogville (2003) | Lars von Trier ⬤
Sfuggita all’inseguimento di due killer, la bella Grace trova protezione nella sperduta Dogville. L’unica condizione che Tom, portavoce della comunità, le impone è quella di lavorare per la collettività. Ma le cose cambiano e, alla luce del sole dell’ipocrisia dei suoi abitanti, Dogville si fa teatro quotidiano di violenze psicologiche e fisiche ai danni della misteriosa donna. Unendo messa in scena teatrale e cinematografica, Lars von Trier traccia il ritratto spietato di una cittadina americana in cui convivono tutte le categorie della società reale, smascherandone via via ogni bonaria illusione. Dogville è metafora del mondo, un mondo che nel vestire gli abiti della cultura borghese accetta e giustifica la violenza: la legge della violenza è uguale per tutti e tutti rende uguali. Dramm. 135’ ★★★★
Il nastro bianco (2009) | Michael Haneke ⬤
La vita degli abitanti di un villaggio protestante della Germania del Nord è scandita dal ritmo lento delle stagioni, alle soglie del primo conflitto mondiale. Alcuni gravi incidenti spezzano la monotonia della comunità. Nel rigore formale di un elegante bianco e nero e con la misura che da sempre lo contraddistingue, Haneke sospende il giudizio sui colpevoli per andare dritto al cuore dell’origine del male. Lo sguardo del regista austriaco si muove fra le dinamiche aggrovigliate dell’umano e della violenza: quella stessa violenza che, mascherata da perbenismo, domina la società occidentale. I bambini di quel villaggio, che guardano ai principi e alla giustizia degli adulti con timore e reverenza, la subiscono e la esercitano formandosi nel nido di quella che è una suggerita anticamera del nazismo. Palma d’oro al Festival di Cannes. Dramm. 126’ ★★★★½
Il vento fa il suo giro (2005) | Giorgio Diritti
Un pastore arriva nel paesino di Chersogno con la moglie, tre figli e il suo gregge di capre, ma l’iniziale accoglienza dei paesani si tramuta presto in astio e sospetto. Basato su un evento realmente accaduto allo sceneggiatore Fredo Valla, l’opera prima di Giorgio Diritti – regista poi di Un giorno devi andare e Volevo nascondermi – riflette sul modo di affrontare il diverso, sull’aprirsi o chiudersi verso un individuo che non appartiene alla propria comunità. Parlato quasi del tutto in dialetto occitano – oltre all’italiano e al francese – il film, guardando alla contemporaneità, sottolinea come accettare la diversità e accoglierla sia l’unica soluzione. Prodotto in proprio con una co-produzione tra i membri dalla troupe. Dramm. 110’ ★★★½
The Village (2004) | M. Night Shyamalan ◕
Gli abitanti di un villaggio isolato circondato dai boschi non possono avventurarsi tra gli alberi per via della presenza degli “innominabili”, creature animali misteriose e violente che gli uomini tengono lontane dalla vallata con sacrifici di animali e con l’accensione di luci notturne. Dopo Il sesto senso e Unbreakable, uno Shyamalan nella fase più prolifica della sua carriera costruisce un horror psicologico di atmosfera su una regia di suoni, dettagli, colori che racconta il ruolo dei riti e delle superstizioni, il valore dell’amore e della verità. Girato con eleganza e maestria, si avvale di un comparto tecnico-artistico di prim’ordine: fotografia di Roger Deakins, musiche di John Newton Howard, nel cast Bryce Dallas Howard, Joaquin Phoenix, William Hurt, Adrien Brody, Brendan Gleeson. Tra i ragazzi del villaggio anche i giovani Jesse Eisenberg e Michael Pitt. Horr. 107’ ★★★
The Witch (2015) | Robert Eggers
Allontanati dal villaggio per via di una diatriba religiosa, non più al riparo dalla protezione della comunità, una famiglia di puritani del New England del 1630 vive con difficoltà e armonia ai margini di un bosco, ma misteriosamente il loro neonato scompare. Odio, superstizione e accuse reciproche regnano tra moglie, marito, figlia adolescente e due fratelli minori, finché non scoprono di avere una strega come vicina di casa. The Witch è un horror classico, declinato in maniera brillante come un romanzo di formazione soprannaturale. L’evoluzione del racconto tocca i nervi e la sensibilità del pubblico in un percorso esperienziale costruito sulla sensazione fisica stimolata dalla visione. La regia statica di Eggers fatta di quadri fissi monta l’ansia e il tormento nello spettatore in un percorso iniziatico al “male” che diventa l’argomento principale del racconto, e lì l’orrore si trasferisce a chi guarda con un fredda e vibrante sensazione fisica, sotto pelle e sotto traccia, fino al gran finale. Horr. 93’ ★★★½
Menzione speciale: Il seme della follia (1994) di John Carpenter, horror d’autore dove il protagonista rimane imprigionato in un villaggio parto della fantasia di uno scrittore.
Lungo i binari
Film ambientati a bordo di un treno
Assassinio sull’Orient Express (1974) | Sidney Lumet
Nell’adattamento del classico nato dalla penna di Agatha Christie, Lumet non è tanto interessato alla scoperta del colpevole, poiché la bellezza della ragion d’essere sta nel frammento, nel parziale e nel particolare piuttosto che nella posticcia ricostruzione degli eventi. Un calderone di dialoghi (da riscoprire la straordinarietà degli accenti nella versione originale), un cast dal fascino irresistibile – Albert Finney, Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Jacqueline Bisset, Sean Connery, John Gielgud, Anthony Perkins, Vanessa Redgrave, Martin Balsam – e la minuziosa ricostruzione d’epoca contribuiscono al successo di un’opera con una regia abile nel gestire il gran numero di personaggi e insinuarsi nelle pieghe delle loro personalità. Il giallo diventa così un pretesto per un racconto morale sulla menzogna, alla fine del quale solo uno (la vittima) rimane scontento, mentre agli altri non resta che brindare come in una delle più classiche commedie. Giallo 122’ ★★★
A 30 secondi dalla fine (1980) | Andrej Končalovskij
Due criminali in fuga da un carcere in Alaska salgono a bordo di un treno. Quello che gli evasi non sanno è che il macchinista del treno è morto per un malore, e il convoglio non può essere fermato. Secondo film americano del regista russo Andrej Končalovskij, il film vale per la costruzione narrativa, la narrazione adrenalinica e la suggestiva ambientazione che porta l’idea del treno tra le montagne innevate. Soggetto di Akira Kurosawa sceneggiato da Djordje Milicevic, Paul Zindel e Edward Bunker, ex criminale, famoso scrittore di genere e poi sceneggiatore cinematografico, che compare qui nel ruolo di Jonah e che sarà Mr. Blue ne Le iene di Quentin Tarantino. Indimenticabile l’interpretazione muscolosa di Jon Voight che vinse il Golden Globe e venne candidato al premio Oscar. Thrill. 111’ ★★★
Snowpiercer (2013) | Bong Joon-ho
2031. L’era glaciale è tornata. L’umanità, o meglio quello che ne rimane, si è rifugiata sull’unico luogo sicuro del pianeta: un treno in corsa lungo tutto il globo alimentato da un “motore perpetuo” di cui nessuno, o quasi, conosce funzionamento. Ben presto le ultime carrozze, le meno agiate, si ribelleranno contro le prime, contestando l’innato classismo esistente tra gli uomini, che si è riprodotto in maniera ancora più rigorosa sul treno. Tratto da una serie a fumetti francese, al grido disperato de “gli ultimi saranno i primi”, assistiamo alla battaglia violenta e rancorosa dei poveri contro i ricchi. Questo fa di Snowpiercer prima di tutto un film politico, sei anni in anticipo sul premio Oscar per Parasite. In questo suo primo film in inglese, con Chris Evans, John Hurt, Tilda Swinton e Ed Harris, il sudcoreano Bong Joon-ho mette in scena con una regia dinamica sia nello stile di ripresa e nell’idea dietro i movimenti di macchina, sia nel montaggio delle sequenze, una regia a tratti pulp per un film dove la violenza e il sadismo delle classi alte su quelle meno agiate è ben visibile, magnetico e disgustosamente feroce. Fant. 126’ ★★★
Tickets (2005) | Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami, Ken Loach
Tre storie in tre episodi tutti ambientati sullo stesso treno partito dalla Svizzera e diretto a Roma: un anziano professore si innamora della sua assistente – Carlo Delle Piane e Valeria Bruni Tedeschi – nell’episodio di Olmi; un giovane obiettore di coscienza riacquista la dignità dopo l’incontro con una giovane nell’episodio di Kiarostami; un gruppo di giovani tifosi scozzesi in trasferta a Roma per supportare il Celtic in quello di Ken Loach. I tre autori, seppur lontani stilisticamente, sono accumunati da un cinema di impegno sociale nella cui poetica l’interesse rivolto alle persone che vivono quelle società è primario. In questo film, i registi offrono tre sguardi soggettivi sul mondo e il viaggio diviene un mezzo di riscoperta per i personaggi: malinconico e trasognato per Olmi, di risveglio dal torpore per Kiarostami e di coesione sociale per Loach. Episodi 100’ ★★★
Menzioni speciali: Come vinsi la guerra (1926) di Buster Keaton e Clyde Bruckamn, La signora scompare (1938) di Alfred Hitchcock, Source Code (2011) di Duncan Jones.
Lontano da tutti
Film ambientati in un luogo isolato
La cosa (1982) | John Carpenter ⬤
Nelle vicinanze di un laboratorio norvegese semidistrutto i ricercatori di una base scientifica statunitense in Antartide trovano un enorme corpo polimorfo carbonizzato. Il dottor Cooper e il pilota MacReady – interpretato da Kurt Russell, già protagonista di 1997: Fuga da New York (1981) – decidono di portarlo alla base per eseguire un’autopsia, ma la notte un husky, che due scienziati norvegesi avevano tentato di uccidere, si trasforma in una creatura mostruosa uccidendo tutti i cani nella sua gabbia; sarà l’inizio di un massacro. Carpenter riempie le atmosfere suggestive di tensione claustrofobica, accentuata dalle straordinarie musiche di Ennio Morricone, e si serve della fantascienza per raccontare la disgregazione della società, ponendo in primo piano la diffidenza e la solitudine umana. Ispirato al racconto La cosa da un altro mondo e all’omonimo film di Howard Hawks del 1951 – già omaggiato in Halloween – La notte delle streghe (1978) – è un cult del genere e uno dei fantahorror più belli di sempre. Fant. 109’ ★★★½
Ex machina (2014) | Alex Garland
Caleb, programmatore della più grande società tecnologica al mondo, vince una competizione il cui premio è trascorrere una settimana in un rifugio di montagna che appartiene al solitario Nathan, amministratore delegato della società. Con un’ambientazione fra tecnologia, design e contesto naturale, Ex Machina è un thriller lucido e angosciante che pone a tema la grande riflessione sul ruolo futuro dell’intelligenza artificiale. Con un uso minimo ed elegante degli effetti speciali – premio Oscar 2016 – Garland, già sceneggiatore di 28 giorni dopo e Sunshine e poi regista di Annientamento, parte dal dibattito fra umanità e tecnologia ma sfrutta i temi cari al genere per consegnare al pubblico un film sulle relazioni umane, sulla violenza insita nell’uomo, sul confine sottile tra verità e menzogna. Fant. 108’ ★★★
Moon (2009) | Duncan Jones
In seguito a un incidente di riparazione Sam Bell, unico operaio in una stazione lunare di una grande corporazione, si ritrova faccia a faccia con un altro se stesso, identico a lui, apparso misteriosamente. Moon, figlio di una fantascienza adulta verso il quale è fortemente debitore, si distingue per lo stile compatto con sequenze asciutte di poche inquadrature e senza troppi fronzoli. Con grande lucidità e abilità, il film tocca molti temi fra cui la prossimità dell’intelligenza artificiale – il computer di bordo GERTY, con la voce di Kevin Spacey – non più mostrata con le caratteristiche disumanizzate che invece toccano al protagonista interpretato da Sam Rockwell. Jones lascia che sia il minimalismo della forma e del racconto a evocare le emozioni dello spettatore, facendole riecheggiare in uno spazio tanto claustrofobico quanto sterminato della Luna. Fant. 97’ ★★★★
La morte e la fanciulla (1994) | Roman Polanski
In un imprecisato paese del Sud America, un uomo buca una gomma durante un temporale e riesce a tornare nella sua casa isolata in cima a una scogliera, dalla moglie, solo grazie all’aiuto di un buon samaritano. I due uomini fanno amicizia, ma la donna riconosce nella voce dell’uomo il crudele carceriere che la stuprò per ben quattordici volte durante la dittatura da cui il loro paese è appena uscito. Tratto dall’omonimo dramma teatrale dello scrittore argentino Ariel Dorfman, La morte e la fanciulla è un film da camera con tre personaggi, una formula molto cara a Polanski. Giocato fino all’ultimo sul filo del sospetto e della presunta colpevolezza dell’imputato, vive di dialoghi che aprono un mondo di violenza, crudeltà e potere cui le sanguinarie dittature sudamericane ci hanno spesso abituato. Con gli strepitosi Sigourney Weaver e Ben Kingsley, ovvia nota di merito alla regia, capace di sottolineare con movimenti precisi di macchina l’importanza dei dialoghi e, al contempo, l’emotività dei personaggi. Dramm. 103’ ★★★½
Una pura formalità (1994) | Giuseppe Tornatore
Lo scrittore Onoff viene fermato dalla polizia e portato in un commissariato diroccato in mezzo al bosco, sospettato della morte di una persona avvenuta la stessa notte. Il commissario del dipartimento, amante delle sue opere, ha il compito di scoprire la verità. Sceneggiatura puntuale, interpretazioni intense di Gerard Depardieu e Roman Polanski, musiche ad alta tensione firmate da Ennio Morricone, l’eleganza della luce e delle scenografie servono a Tornatore, lontano dai suoi generi consueti, l’opportunità di un robusto thriller dai risvolti metafisici, diretto con intelligenza e con la solita maestria nel muovere la macchina da presa, stavolta coadiuvata da un montaggio brillante, negli spazi angusti del commissariato. In chiusura le parole della canzone Ricordare – composta da Morricone padre e figlio, scritta da Tornatore e cantata dallo stesso Depardieu – guidano lo spettatore oltre l’intreccio del film. Thrill. 108’ ★★★½
Vedi anche: La casa (1981) di Sam Raimi, Climax (2018) di Gaspar Noé, Misery non deve morire (1990) di Rob Reiner, Todo modo (1976) di Elio Petri, Moloch (1999) di Aleksandr Sokurov. Menzioni speciali: The Hateful Eight (2015) di Quentin Tarantino, il cui nucleo narrativo è ambientato nell’emporio di Minnie, Il cavallo di Torino (2011) di Béla Tarr.
Lontano da tutto
Film ambientati su un’isola
In memoria di me (2007) | Saverio Costanzo ⬤
Andrea è un giovane ragazzo disilluso che si appresta ad entrare in noviziato nel convento sull’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Le sue giornate si consumano tra studio e preghiera ma con il passare dei giorni l’iniziale convinzione diviene sempre più labile ed evanescente, mentre viene assillato dal dubbio. L’opera seconda di Saverio Costanzo prende spunto dal romanzo Il gesuita perfetto di Furio Monicelli, fratello del regista Mario, e si affida alla recitazione di Hristo Jivkov, Filippo Timi e Fausto Russo Alesi per raccontare il dilemma della scelta. Totalmente ambientato all’interno del monastero di San Giorgio Maggiore sull’omonima isola veneziana il film, districandosi nelle architetture del convento, vive di lunghi silenzi che con l’avanzare del racconto, invece di indurre in meditazione e contemplazione, creano tensione e inquietudine nello spettatore. Dramm. 105’ ★★★
Cul de sac (1966) | Roman Polanski ⬤
Due gangster in fuga da una rapina fallita si rifugiano in un castello su un’isola tidale che l’alta marea separa periodicamente dal resto del mondo. Nel castello abitano marito e moglie che i gangster prendono in ostaggio in attesa che li raggiunga il loro capo. Tra le opere migliori del primo Polanski – e ultima girata in bianco e nero – Cul de sac racconta fin dal titolo un vicolo cieco, uno stallo che mette uno di fronte all’altro i protagonisti, tra dramma, commedia, violenza e malinconia. Con un grande Lionel Stander, Donald Pleasence e Françoise Dorléac, sorella di Catherine Deneuve che scomparirà in un incidente d’auto l’anno successivo. Orso d’oro a Berlino. Dramm. 111’ ★★★½
The Lighthouse (2019) | Robert Eggers
Il giovane Ephraim Winslow accetta di lavorare su una piccola isola che ospita un faro, come manutentore, il suo supervisore è un vecchio e scorbutico custode con il quale dovrà trascorrere quattro settimane. Dopo qualche giorno l’anziano guardiano inizia a comportarsi in modo singolare mentre il ragazzo è assalito da allucinazioni e incubi. Affidandosi ad una fotografia in bianco e nero di forte contrasto, curata ancora una volta da Jarin Blaschke come nel precedente The Witch (2015), Robert Eggers racconta con spiccato rigore formale la degenerazione dei due protagonisti ingabbiati in uno spazio ipnagogico nel quale risulta impossibile distinguere ciò che viene immaginato dalla realtà. Fantastico 111’ ★★★
La tartaruga rossa (2016) | Michaël Dudok de Wit
Un uomo scampato a una tempesta e spiaggiato su un’isola deserta inizia una sfida per la sopravvivenza, con la volontà di rimettersi in mare al più presto, ma i suoi tentativi costantemente fermati da una forza misteriosa. Film d’animazione senza dialoghi e con uno straordinario tappetto musicale, La tartaruga rossa fa aspettare lo spettatore e il protagonista in un’attesa che si fa così pura contemplazione verso la riscoperta di un innato rapporto, quasi epidermico, con la Natura. Eludendo la tematica ecologista il film diventa un racconto contemplativo che procede per sottrazione: un cinema dal sapore primordiale vicino al mondo della sensazione e della suggestione. La riscoperta di un’autentica libertà verso il ritorno alla parte più pura di noi. Premio speciale Un Certain Regard a Cannes. Anim. 80’ ★★★½
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974) | Lina Wertmüller
In uno yacht in mezzo al Mediterraneo una ricca borghese anticomunista, trascorre le sue vacanze in compagnia di amici tra discussioni politiche e partite a poker, mentre il marinaio sottoposto Carunchio ogni giorno è costretto a sopportare i soprusi e l’arroganza della donna. Una sera, per accontentare un’assurda richiesta della signora, i due rimangono fermi in mezzo al mare su un gommone e sono costretti ad approdare su un’isola deserta sulla quale i ruoli si ribaltano. Dopo Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972) e Film d’amore e d’anarchia, ovvero ‘stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…’ (1973) Lina Wertmüller – Oscar alla carriera 2019 – si affida ancora una volta alla coppia Giannini-Melato per raccontare lo scontro sociale, gli amori impossibili e le divergenze culturali tra Nord e Sud Italia, in una commedia dai toni farseschi ma con uno stile decisamente pungente. Comm. 125’ ★★★
Classici: Cast Away (2000) di Robert Zemeckis. Vedi anche: Duello nel Pacifico (1968) di John Boorman, L’isola dei cani (2018) di Wes Anderson, Shutter Island (2010) di Martin Scorsese. Menzione speciale: Fuocammare (2016) di Gianfranco Rosi.
Tra le onde
Film ambientati in mezzo al mare
All is Lost – Tutto è perduto (2016) | J.C. Chandor
Un uomo si ritrova in balia del mare dopo che il suo yacht ha subito una collisione con un container abbandonato. Opera seconda di J.C. Chandor, All is Lost è una storia sull’eterno confronto tra uomo e mare e sulla potenza irriducibile della natura con un Robert Redford in solitaria che regala una performance attoriale notevole, quasi del tutto priva di battute. Proiettandosi verso una riconquista della dignità umana e privilegiando l’aspetto manuale e pragmatico della vita, il film diventa una metafora dell’uomo moderno in balia di un flusso con il quale da solo dovrà scontrarsi: la calma e la determinazione del protagonista costringono chi guarda a fare i conti con se stesso. Golden Globe per la miglior colonna sonora originale e New York Film Critics Circle Award per il miglior attore protagonista. Dramm. 106’ ★★★
E la nave va (1983) | Federico Fellini
Nel 1914 il piroscafo Gloria N. salpa per spargere le ceneri della defunta cantante lirica Edmea Tetua nelle acque che circondano l’isoletta di Erimo nel mar Egeo. A bordo della nave, il giornalista Orlando commenta passeggeri e accadimenti parlando direttamente allo spettatore, in un resoconto giornalistico in diretta della travagliata traversata. Maestro del grottesco, cinico analista dei vizi e delle nevrosi dell’Italia e degli italiani, Fellini restituisce un affresco delle manie, del classismo innato e dell’ipocrisia sociale che tengono l’Italia all’ancora di se stessa. E la nave va…. sì, ma dove? Tra rinoceronti che soffrono il mal d’amore, profughi serbi da accogliere a bordo e corazzate austriache all’attacco, il film è una sferzante satira del malcostume sociale, dell’impreparazione dell’Italia nei confronti della Storia, con una narrazione meta-cinematografica, un uso pervasivo della voce narrante, e un finale che svela gli artifici della tecnica cinematografica mettendo la pellicola di fronte a se stessa e noi di fronte allo specchio delle nostre debolezze. Dramm. 132’ ★★★½
Open Water (2003) | Chris Kentis
Una coppia appassionata di immersione parte per i Caraibi per una vacanza e si unisce ad una barca diretta in oceano aperto con un gruppo di altri appassionati di subacquea. Durante un’immersione collettiva, i due si allontanano brevemente dagli altri. Quando riemergono, la barca non c’è più. Girato con il primo digitale, che non fa che acuire la sensazione di realismo e di inquietudine, Open Water è un survival horror che per sua stessa composizione racconta il rapporto dell’uomo con la natura solitaria e violenta del mare, tra squali, meduse, barracuda, sole, gelo e correnti oceaniche. Basato sulla storia di Tom e Eileen Lonergan, che nel 1998 uscirono per un’immersione nella zona della grande barriera corallina in Australia e vennero dimenticati dalla propria imbarcazione, che sbagliò il conteggio delle persone a bordo. I loro corpi non sono mai stati ritrovati. Horr. 79’ ★★½
Prigionieri dell’oceano (1944) | Alfred Hitchcock ⬤
Un piroscafo colpito da un sottomarino tedesco sta affondando nelle acque del nord Atlantico e alcuni passeggeri riescono a trarsi in salvo a bordo di una scialuppa di salvataggio. Sulla piccola imbarcazione ci sono un ingegnere, una giornalista, un’infermiera, un industriale di estrema destra, un marinaio, un religioso e una giovane donna che abbraccia il cadavere del figlio. La situazione già complicata si fa ancora più critica quando viene soccorso un marinaio nazista. Hitchcock ambienta la storia interamente sulla scialuppa che, come dichiara lo stesso regista, diviene un microcosmo della guerra ancora in corso, trasformandola in un territorio di conflitto dove le tensioni belliche si riflettono nelle scelte e negli animi dei personaggi. Nonostante qualche moralismo di troppo, la pellicola si fa emblema di coesione e fratellanza in un periodo storico di tensioni politiche e disgregazione sociale. Dramm. 96’ ★★★
Classici: Titanic (1998) di James Cameron. Vedi anche: Captain Phillips – Attacco in mare aperto (2013) di Paul Greengrass, Operazione sottoveste (1959) di Blake Edwards. Menzioni speciali: La leggenda del pianista sull’oceano (1998) di Giuseppe Tornatore, Lo squalo (1975) di Steven Spielberg.
Commenta