Cinefilo no che poi sembra un insulto | Diario dal 36° Torino Film Festival
Il festival di Torino attraverso i suoi film. Il racconto del nostro corrispondente Edoardo Peretti
Il lunedì inizia con una brutta notizia che inevitabilmente riecheggia nelle sale e nei discorsi tra un film e l’altro: la morte di Bernardo Bertolucci. Il Torino Film Festival ricorderà il grande autore proiettando prima dell’inizio di ogni film una breve selezione di sequenze tratte dalle sue opere più importanti e chiusa dalle parole di Bertolucci. «Come vorrei vedere un film di Bergman in 3D, come vorrei vedere un film di Fellini in 3D, come vorrei vedere il mio prossimo film in 3D. Negli ultimi tempi mi sono reso conto di come la rivoluzione tecnologica sia un tappeto volante: bisogna salirci sopra!». Inevitabili gli applausi scroscianti e per molti probabilmente anche di gratitudine.
✎ Day #4 | Lunedì 26 novembre
ore 14 | ★ ATLAS di David Nawrath ★
La giornata inizia con una sorpresa, arrivata grazie ad un film che non avevo assolutamente segnato nel programma della vigilia che, del resto, non rispetto mai e che ho scelto in quanto unico riempitivo di un momento vuoto. Invece questa opera prima asciutta è un ottimo noir interiore e d’atmosfera, dove le cupezze dell’anima rispecchiano quelle del contesto e dove il protagonista è segnato nel volto, negli atteggiamenti e nei gesti da un passato ingombrante e da un’assenza decisiva. Che inevitabilmente ad un certo punto gli presentano il conto, chiedendo di venire affrontate una volta per tutte. Con uno stile pulito ma capace di piccole finezze in grado di riassumere un intero stato d’animo e snodi decisivi della vicenda, Nawrath è abile nel raccontare questo processo catartico, togliendo il velo dal passato dettaglio dopo dettaglio e trasformando il dramma psicologico della prima parte nel noir d’atmosfera della seconda. Grande prova del protagonista Rainer Bock. È anche il caso raro di un film tedesco con un paio di battute che fanno sorridere.
ore 17 | ★ OVUNQUE PROTEGGIMI di Bonifacio Angius ★
La giornata continua in maniera positiva con un film che una voce fuori dalla sala ha definito come “la versione meno banale de La pazza gioia di Paolo Virzì”. È la fuga (forse) utopica di Simone, cantante folk fallito e vittima di vizi ed eccessi, e di Francesca, giovane madre esclusa dall’accettazione sociale e dall’amore familiare alla quale è stato tolto il figlio. Angius realizza un film vitale dall’anima disperata, solare in superfice e cupo nella sostanza, lucido e concreto nel rappresentare un contesto e allo stesso tempo capace di cogliere le dimensioni più sfuggenti dell’illusione e dell’utopia. La complessità di fondo si esprime nell’assoluta semplicità e lievità del buon film medio tendente all’alto che rielabora strade e canoni già visti, non privo di momenti più deboli e didascalici, ma assolutamente in grado di emozionare e colpire, di farci osservare l’abisso di una vita fallita senza farci perdere la possibilità dell’empatia, dell’affetto e della comprensione.
Il tema della paternità sfuggita, rimpianta e agognata, naturale come “improvvisata” è uno dei fili conduttori di questa edizione
Sia in Atlas che in Ovunque proteggimi centrale è il tema della paternità sfuggita, rimpianta e agognata, naturale come “improvvisata”. Su questo asse si svolgono i processi catartici dei due protagonisti. È un tema che tornerà più volte in queste giornate, mostrandosi come uno dei fili conduttori di questa edizione capace di collegare tra loro film diversi e che, volendo, può dire molto sulla percezione e sull’autopercezione contemporanea del maschio.
ore 22 | La sera tradisco la sala – anche perché molto utile per la sopravvivenza nei festival con le loro visioni coatte è trovare una giornata di rilassamento – e mi incontro con carissime amicizie che, pur non cinefile, sono venute a Torino a respirare l’aria del TFF e che regalano agli annali la seguente frase: “Cinefilo no che poi sembra un insulto, diciamo appassionato”. Non è il caso di dicutere sull’effettiva verità della sentenza, che fra l’altro ha accompagnato la presa di coscienza del fatto che nella turistica Torino è molto più facile trovare un bar aperto tutta la notte in periferia che nell’elegante centro.
✎ Day #5 | Martedì 27 novembre
ore 17.15 | ★ UN RACCONTO DI CANTERBURY (1944) di Michael Powell e Emeric Pressburger ★
Si ritorna al classico con un’opera meno conosciuta e più spensierata di altre ralizzate dalla coppia di registi di Scarpette rosse, che però mette in crisi la concezione di film minore. È un film soave, ottimista e poetico realizzato per sostenere il morale della popolazione inglese stremata dalla guerra. La commedia dei battibecchi si mischia con l’elegia nostalgica e con il giallo legato ad un misterioso criminale che di notte riempie di colla i capelli delle giovani donne. Powell e Pressburger dimostrano il loro talento visivo e la loro eleganza stilistica, oltre che con la solita capacità di esaltare i paesaggi, con eleganti movimenti di macchina e con un superbo uso della profondità di campo, e realizzano un film che sotto più di un aspetto ricorda (e anticipa) l’atmosfera di mistica rarefazione del cinema di Max Ophüls. Affascinante, suggestivo e tenerissimo, vegliato dall’alto dallo spirito di Chaucer.
ore 20.15 | ✮ SENZACHIEDEREPERMESSO di Pietro Perotti e Pierfranco Milanese ✮
Uno degli appuntamenti ricorrenti e importanti del festival è la consegna del Premio Maria Adriana Prolo, assegnato dall’Associazione Museo Nazionale del Cinema. Quest’anno è stato il turno dello sceneggiatore Giorgio Arlorio e dell’artista, ex operaio e militante Pietro Perotti, del quale è stato proiettato il documentario dedicato alla storia dello stabilimento FIAT di Mirafiori e alla sua esperienza di militante. È un documentario tradizionale che racconta un’esperienza emblematica e di altri tempi e restituisce una testimonianza di impegno, consapevolezza sociale e passione politica che avrebbe tutte le carte in regola per incidere ancora oggi. Nella storia e nel contesto politico del capoluogo sabaudo ovviamente è un testimonianza che assume un valore ancora più nitido, sia in un’ottica nostalgica sia considerando la stagnazione contemporanea.
Senzachiederepermesso è un testimonianza di impegno, consapevolezza sociale e passione politica che assume un valore ancora più nitido a Torino, sia in un’ottica nostalgica sia considerando la stagnazione contemporanea
ore 22.30 | ★ ULYSSE & MONA di Sébastien Betbeder ★
Dal rosso della lotta operaia a quello della maglietta del Manchester United rimaniamo però sempre legati a figure che si professano orgogliosamente di sinistra. È il turno infatti di un film con protagonista Eric Cantona. L’ex fuoriclasse diventato attore dimostra di non essere bravo solo nella parte di se stesso e regala una prova decisamente intensa, anche andando oltre la sua icona più riconoscibile. L’ex numero 7 è un burbero artista isolatosi dal mondo il quale, dopo aver scoperto di avere un tumore, decide di chiedere scusa a coloro che ha fatto soffrire, accompagnato in questo viaggio da una giovane studentessa di storia dell’arte sua fan. Il tema non è certo nuovo, ma il film di Betbeder evita sia l’approccio più sentimentalista e zuccheroso sia quello cinico del black humor, scegliendo la terza via della commedia stralunata che unisce Jarmusch (inevitabile pensare a Broken Flowers) alla laconicità paradossale di Kaurismaki. È un piccolo film tenero e affettuoso, ma tutt’altro che conciliante e che va ben oltre la definizione limitante di “carino”. È anche un film in cui torna la tematica della paternità sfuggita, sprecata e rimpianta e della catarsi che questa comporta.
ore 24 | La serata si conclude con una chiaccherata con due amic*, il giorno prima che uno tornasse a Roma, al chiuso di un pub e protetti dai venti gelidi, e poi, arrendendoci all’aria polare, con un giro per le piazze di Torino, senza gente e quindi colte in tutta la loro assoluta magnificenza. Ho pure fatto un po’ il cicerone.
✎ Day #6 | Mercoledì 28 novembre
ore 11 | ★ MES PETITES AMOURES (1974) di Jean Eustache ★
Non solo Powell e Pressburger. La seconda retrospettiva di questa edizione è dedicata a Jean Eustache, autore non particolarmente conosciuto al di fuori della cerchia di cinefili e appassionati e radicale alfiere della tarda Nouvelle vague. Questo Mes Petites Amoures per esempio è rimasto quasi del tutto semisconosciuto in Italia. Peccato, perchè è un posato ma trascinante resoconto di quel momento in cui l’infanzia si trasforma e si aprono i primi spiragli dell’adolescenza; le prime illusioni, i primi pruriti verso l’altro sesso, il rapporto con la madre, le prime sigarette e un senso di disillusione e di rabbia latente che fa di questo film una sorta di sequel de I 400 colpi. Come nel miglior cinema francese erede della Nouvelle vague, il realismo è apparente e tutto sembra pervaso da un’atmosfera sospesa tra la realtà e un altrove indefinito. Perfetto del resto per raccontare quella mezza stagione della vita in cui non si è più bambini e non si è ancora adolescenti.
ore 17 | ★ RELAXER di Joel Potrykus ★
La giornata continuerà in maniera rilassante all’insegna di apocalissi, maniaci e abiti assassini. È infatti dedicata ai film di Afterhours, sezione decisiva per l’essenza del festival targato Emanuela Martini sempre per il discorso sui generi accennato nella prima puntata di questo diario. In Afterhours troviamo infatti horror, distopie, sci-fi, commedie nere, grotteschi, thriller duri e violenti; tutti film notturni, per i temi trattati come per i generi di riferimento, e tutti film che cercano, almeno teoricamente e a prescindere dalla riuscita dei singoli casi, di spostare e rielaborare i confini del genere di riferimento.
Relaxer è la storia di un ragazzo che, sfidato dal sadico fratello a finire Pac-man, non si schioda dal divano
Joel Potrykus, per esempio, è un regista sconosciuto in Italia autore di commedie folli, anarchiche, violente e demenziali sul disadattamento più estremo (Buzzard del 2013, ad esempio), in continuo dialogo con l’horror e pervase da un senso di fine incombente. Il suo ultimo film è la storia di un ragazzo che, sfidato dal sadico fratello a finire Pac-man, non si schioda dal divano. Tra comicità demenziale e atmosfera di apocalisse allucinata, il surreale, grottesco e divertente film racconta la perdita di contatto con la realtà e il definitivo smarrimento di sé. Lascia così il sapore amarissimo della risata torva e acre, funzionando soprattutto nella prima parte, e non riuscendo sempre a gestire la materia nella seconda.
ore 19.45 | ☆ INCIDENT IN GHOSTLAND di Pascal Laugier ☆
L’autore del celebre, divisivo e discusso Martyrs torna invece con un film che dà ragione ai suoi detrattori. Banalmente, è un horror convenzionale nella storia e nello stile che, cosa più grave, fa finta di non esserlo. Il risultato è quindi l’irritazione e non la paura. È un film supponente e arrogante, e a nulla valgono un paio di sequenze di per sé riuscite (Laugier sa girare) e il fascino delle scenografie all’insegna dell’horror vacui di bambole, quadri e cimeli. Incredibile abuso del jumpscare, cioè il trucchetto degli horror mediocri e di quelli adolescenziali da serata con popcorn e ragazza che ti abbraccia spaventata.
In attesa di entrare in sala intravedo Claudio Bisio, Vinicio Marchioni e Salvatore Esposito salire su un taxi. Mi viene in mente che Bisio potrebbe essere il protagonista di una serie ispirata alla mala meneghina raccontata da Giorgio Scerbanenco.
ore 22.30 | ✮ IN FABRIC di Peter Strickland ✮
Ed eccoci al vestito assassino, vero protagonista di questo film sornione a metà strada tra la parodia dell’horror e la satira sul consumismo ambientata in una misteriosa ed elegante boutique londinese nel periodo dei saldi, girato in maniera molto raffinata e pervaso da uno humour molto british. Aperta dall’inevitabile citazione degli zombie di Romero, è un film sicuramente gradevolissimo e divertente, e altrettanto sicuramente alcune frecciatine ironiche colgono il bersaglio. Complessivamente però rimane come bloccato a metà strada: troppo serio per una parodia, troppo altalenante per essere una satira a tutto tondo. Ad ogni modo, visione assolutamente piacevole.
Edoardo Peretti
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