Cesare Balbo
Torino, 21 novembre 1789 – Ivi, 3 giugno 1853
Sbollito lo sdegno alfieriano della pubertà, come vogliono i nomi grandi degli ascendenti – Balbo e Taparelli d’Azeglio – il giovanissimo Cesare intraprende sicura la carriera nell’amministrazione napoleonica che tuttavia la Restaurazione ricolloca nell’Armata Sarda e nell’estemporaneo servizio diplomatico al fianco del padre Prospero, ambasciatore sabaudo a Madrid: ha le carte in regola, Cesare Balbo, per attirarsi infondati sospetti circa una sua parte nei moti liberali del ’21, e quindi doversi esiliare in Francia per rimpatriare e finir confinato a Camerano (1824). Allora ha il tempo di far fruttare gli sparsi suoi interessi di storico per guadagnarsi spazi rilevanti nella storiografia neoguelfa dominata dal Gioberti con opere, come la Storia d’Italia dal 476 al 774 (1830) – seguita dall’acceso Sommario della storia d’Italia (1846-7) – ove al sempre presente tema dell’indipendenza dallo straniero s’integra il tentativo di conciliare religione cattolica e moderna teoria del progresso; indicazioni operative vorrà dare, sul far l’Italia libera e una, in celebri Speranze d’Italia (1844) volte al Piemonte come al nuovo, auspicato corso balcanico anziché italiano della politica estera asburgica. Presidente del consiglio per il Carlo Alberto dello Statuto quarantottesco, non potrà tuttavia sostenere la prova dei fatti, e recede dalla prima linea avanti la morte.
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