Brexit: Should I Stay or Should I Go?
Percentuali, dati e statistiche dal governo Cameron all'UKIP di Nigel Farage
Da una parte c’è Britain Stronger in Europe, dove non manca un minimo di spirito nazionalista anche nel nome, sebbene faccia campagna per rimanere all’interno della UE. Dall’altra, il più perentorio Vote Leave, che si spende per abbandonare l’Unione Europea e riconquistare la piena sovranità. Sono questi i due schieramenti designati ufficialmente dalla Commissione elettorale per il referendum del prossimo 23 Giugno. Due schieramenti che abbracciano una platea di sostenitori composita, con conservatori e laburisti da entrambe le parti.
La campagna di Britain Stronger in Europe può contare sull’appoggio di nomi di rilievo. Dal primo ministro David Cameron, dopo la sua conversione forzosa all’europeismo, al responsabile del bilancio George Osborne. Senza dimenticare i nomi dell’imprenditoria e della finanza, munifici donatori per le finanze dello schieramento europeista. Dal magnate dei supermercati ed esponente laburista Lord Sainsbury, a David Harding, manager di hedge fund. Anche diversi artisti, da Anthony Gormley al disegnatore per bambini Alex Scheffler si sono schierati a favore del remain, celebrando il legame con l’UE con delle opere appositamente create. Lo Scottish National Party, invece, pur sostenendo lo stay in, non fa parte dello schieramento: non vogliono mescolarsi con i conservatori.
Vote Leave può contare sull’appoggio di Boris Johnson, l’ex-Mayor di Londra. Ma tra i suoi sostenitori attivi ci sono pochi nomi dell’alta finanza o dell’industria. In compenso, ci sono i Farmers for Britain (forse solo quelli rimasti tagliati fuori dalle generose elargizioni della politica agricola comune e dei fondi per l’agricoltura europei inclusi nel rebate) e anche i Muslims for Britain (ma non si sa molto sul perché vogliano votare per andarsene).
Lo spirito europeista nel Regno Unito è storicamente sempre stato misero. Alle prime elezioni del Parlamento europeo, nel 1979, si recò alle urne solo il 33% dei cittadini britannici, a fronte di un tasso medio della Comunità europea del 62%. Solo il 50% dei cittadini britannici si dice informato riguardo all’Unione Europea nel sondaggio dell’Eurobarometro dello scorso Novembre, e la percentuale ha registrato un aumento del 10% rispetto ad un anno prima, complice evidentemente il dibattito sulla Brexit.
Oggi si assiste ad una divisione quasi simmetrica del voto. Tutti i più autorevoli sondaggi delineano un testa a testa al referendum, e indicano anche una buona fetta di indecisi. Dall'Economist, al Financial Times, a Bloomberg (nella sede del quale Cameron dette avvio alla questione Brexit) tutti propongono l’immagine di un Regno Unito diviso a metà tra chi vuole restare e chi invece ritiene di stare meglio senza l’Unione Europea.
Generalmente sono a favore dello stay in i giovani, quelli della generazione Erasmus e Easyjet, le fasce della popolazione con un livello di istruzione medio-alto e delle città. Desiderosi di recidere i legami con Bruxelles sono invece gli anziani, le fasce della popolazione più povere e meno educate. In una recente analisi, l'Economist ha confrontato la percezione della Brexit in due differenti città: Cambridge e Peterborough. Entrambe a poco più di un’ora di treno da Londra, entrambe con un numero simile di abitanti, ma nella prima il sostegno all’Unione Europea raggiungerebbe il 73%, mentre nella seconda sarebbe appena il 38%. Questo perché Cambridge conosce come immigrazione prevalentemente quella altamente qualificata, di accademici e giovani studenti, mentre Peterborough prevalentemente quella di lavoratori agricoli dell’Est Europa e magazzinieri. D’altronde a Cambridge c’è una delle più antiche università del mondo, mentre Peterborough è una città dove il tasso di abbandono scolastico è alto. L’istruzione sembra essere una variabile fondamentale nel voto del prossimo referendum.
Ma quando si considera il turnout del voto sulla base di categorie, sembra ci sia un rapporto inverso tra eurofilia e propensione al voto. Perché se i giovani sono i più vicini alle tematiche europee e i più convinti a rimanere nell’Unione Europea, sono anche i meno propensi a recarsi alle urne. In modo analogo, anche le donne, che appaiono più favorevoli all’Europa degli uomini, sono meno propense al voto. Al contrario, i sostenitori del partito nazionalista UKIP di Nigel Farage sono in assoluto i più euroscettici e al contempo quelli che con maggior probabilità andranno a votare. E l’UKIP alle ultime elezioni politiche guadagnò il 12,7% dei consensi.
Dato che i due schieramenti paiono ormai assestati, sarà determinante la componente degli indecisi. Determinante sarà anche, però, non tanto il sentimento europeista, quanto la paura. Si stima, infatti, che il 20% dei votanti voglia in cuor suo la Brexit, ma al contempo è preoccupato delle conseguenze. E anche l'assassinio di Jo Cox, deputata laburita e europeista, per mano di uno squilibrato che invocava Britain first, potrebbe convincere qualcuno a votare remain.
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