Brexit: dichiarazioni e sondaggi a due giorni dal referendum
Obama e Merkel, Tusk e Juncker contro l'uscita del Regno Unito dalla UE
«Rule, Britannia! Rule the waves: / Britons never will be slaves». I più patriottici si emozionano ancora sentendo il motivetto settecentesco diventato poi una sorta di inno della Royal Navy. Rimpiangono i tempi andati quando si accorgono che qualcuno si prende gioco dello slogan di Trump (che supporta la Brexit, ovviamente) e rievoca la grandeur dell’impero. Ma è anche vero che i sondaggi colgono la paura di molti cittadini britannici per quel che potrebbe accadere dopo l’uscita dal mercato unico, su cui regna l’incertezza. Stando ad un recente rapporto dell’Eurobarometro, la metà dei cittadini britannici si dice «non bene informata» riguardo alle questioni dell’Unione Europea, e il loro livello di conoscenza è sensibilmente al di sotto della media europea e la disinformazione cresce in maniera inversamente proporzionale al livello di istruzione. Addirittura solo il 9% dei britannici sa che l’Unione Europea finanzia progetti di sviluppo a livello locale, contro una media europea del 34%. È verosimile, però, che il livello di conoscenza delle tematiche europee e delle istituzioni sia cresciuto recentemente. Se da una parte coloro che rinnegano la membership nell’UE ripetono ossessivamente «I want my country back», rivoglio indietro il mio Paese, non importa a quale costo, dall’altra la campagna per rimanere a fare parte della UE fa leva soprattutto sulle statistiche e sulle proiezioni. Può contare, però, anche su molte autorità o personaggi influenti di ogni ambito, dalla politica alla cultura, dall’economia alla ricerca, che si sono schierati apertamente in favore del rimanere nell’Europa, mettendo in guardia dai rischi di un’eventuale uscita dall’Unione. Per questo lo scontro ha assunto i contorni di una contrapposizione tra le élite e la gente. All’interno dell’urna, comunque, tutti i voti hanno lo stesso peso.
«Non siamo riusciti a cogliere il fatto che le persone comuni, i cittadini dell’Europa, non condividono il nostro euro entusiasmo», ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Un aspetto estremamente chiaro nel momento in cui uno dei maggiori Stati membri mette in discussione la propria permanenza nell’Unione. Tuttavia, come ha sottolineato l’ex primo ministro britannico John Major, continuando a ripetere "I want my country back" il rischio è che «se le emozioni prevarrano sulla realtà, perderemo potere, prestigio, sicurezza e un po’ del nostro futuro benessere». A pensarla in questi termini sono in molti: dal Fondo Monetario Internazionale, che si attende una revisione delle stime per il Regno Unito con un «significativo ribasso» nel caso di Brexit, al presidente degli Stati Uniti Barack Obama che in un discorso sul tema, parlando in risposta ai sostenitori della Brexit che prospettavano più solidi rapporti commerciali con gli USA dopo l’uscita dall’Unione Europea, ha messo in luce come il rapporto tra Londra e Washington peggiorerebbe radicalmente.
In Europa, si teme soprattutto per le conseguenze che si potrebbero ripercuotere sul resto del continente, anche a livello economico. Il presidente della Commissione europea ha messo in mostra inequivocabilmente quale reazione il Regno Unito dovrebbe aspettarsi qualora intenda voltare le spalle al resto dei ventisette. «I disertori non saranno ben accolti» se poi sceglieranno di accostarsi di nuovo all’Unione Europea, ha ammonito Jean-Claude Juncker. Più pacatamente, Donald Tusk ha ipotizzato come ci vorrebbero almeno sette anni per finalizzare un qualche accordo alternativo con Londra rispetto alla membership. Sette anni in cui l’incertezza finanziaria potrebbe colpire severamente il Paese. Sulla stessa linea, anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha evidenziato come il Regno Unito non godrebbe dello stesso potere di negoziazione con l’UE dopo la Brexit. Immancabile il commento del ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che in un’intervista a Der Spiegel ha commentato «O dentro, o fuori» rispetto alla possibilità di negoziare uno status simile a quello Norvegese con l’UE, perché «l’Europa funzionerà anche senza la Gran Bretagna, se necessario. Ad un certo punto i cittadini britannici si accorgeranno di aver preso la decisione sbagliata». Intanto, la Francia e la Germania starebbero già lavorando ad un piano alternativo per la sopravvivenza dell’Unione Europea dopo la Brexit, a cominciare dal summit dei leader europei (compreso Cameron) per il 28 e 29 Giugno prossimo, quando i risultati del voto saranno ancora freschi.
Juncker e il governatore della BCE, Mario Draghi, sono però convinti che la Brexit potrebbe condurre ad una svolta per l’Eurozona per unire ancora di più le proprie forze, una volta lasciati andare gli «europei part-time». Tutto sta nel capire, nel caso di una Brexit, quale danno sia maggiore: quello per l’Europa o quello autoinflitto per il Regno Unito. Entrambi perderanno prestigio, entrambi potere. Bisogna però capire in quale misura, e non è certo facile fare previsioni. Intanto, a due giorni dal voto, il remain sale al 53% nei sondaggi scavalcando per la prima volta il leave, probabilmente anche a causa dell'impatto sull'opinione pubblica dell'omicidio di Jo Cox. Giovedì dalle 7 alle 22 si voterà in Gran Bretagna e in Irlanda del Nord, venerdì mattina i risultati definitivi. Ancora qualche giorno, e sarà chiaro almeno il primo capitolo di una storia ancora incerta.
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