Breve guida ai film premiati agli Oscar 2020

Tra le vittorie di Joker e 1917, Jojo Rabbit e Storia di un matrimonio c'è il trionfo di Parasite di Bong Joon-ho

Nella notte del trionfo del sudcoreano Parasite di Bong Joon-ho, che vince miglior film, miglior film internazionale, miglior regia e miglior sceneggiatura originale, c'è un'ulteriore nota positiva: il film Palma d'Oro a Cannes è tornato in sala in Italia, così come tanti altri tra i premiati. L'occasione, per chi li ha persi, di vederli nelle settimane che verranno. Ma come orientarci tra i tanti per scegliere cosa andare a vedere? Ecco il nostro consueto (e breve) manuale critico, in ordine alfabetico, per orientarsi tra i film che hanno ottenuto i riconoscimenti più importanti.

C’era una volta… a Hollywood ★★½
Oscar: Miglior attore non protagonista, migliore scenografia
Regia: Quentin Tarantino
Cast: Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino
Guarda il trailer ► www.youtube.com/watch?v=TLmHNBmzz84
Diretta con estrema eleganza, interpretata da una coppia d’attori con una sintonia straordinaria (eppure è il primo film insieme) e fotografata in modo luminoso da Robert Richarson, la nona opera di Quentin Tarantino – e forse l’ultima, a sentire le dichiarazioni del regista statunitense – è un viaggio nella Los Angeles degli anni Sessanta, tra personaggi reali e fittizi della vita hollywoodiana. L’attore Rick Dalton (L. Di Caprio), la sua controfigura Cliff Booth (B. Pitt), Sharon Tate (M. Robbie), nuova vicina di Rick insieme al marito Roman Polanski. Il tutto alla vigilia dell’avvento della New Hollywood e diretti a tutta velocità – a bordo di una Cadillac Coupe de Ville – verso l’estate del 1969 e verso l’assassinio della stessa Tate ad opera della banda di Charles Manson. La mano di Tarantino è indiscutibile, nella raffinatezza dei tempi e nel ritmo del racconto, ma l’affresco di cui tanto si parla non è che una piccola tessera di un mosaico che non si tenta neanche di mettere in scena, una tessera guardata con passione e affetto sì, ma senza una reale volontà di andare oltre la buona rappresentazione. La sensazione, pure elettrizzante, è di assistere – nonostante l’ucronia finale in stile Bastardi senza gloria e la bella conclusione con Rick nella casa di Sharon – a un film in cui il viaggio conta (un po’ troppo) più della destinazione. Oscar a Brad Pitt e alle scenografie di Barbara Ling e Nancy Haigh. Margot Robbie splendida anche se tristemente utilizzata come poco più che una bella lampada con le gambe (anzi, con i piedi).

Jojo Rabbit ★★★
Oscar: Miglior sceneggiatura non originale
Regia: Taika Waititi
Cast: Roman Griffin Davis, Scarlett Johansson, Thomasin McKenzie, Sam Rockwell
Guarda il trailer ► www.youtube.com/watch?v=koiB4unMLvo
Le avventure del giovane nazista Jojo (R. Griffin Davis) in un paese tedesco alla fine della seconda guerra mondiale. Jojo è un perfetto membro della hitler-jugend che sogna la guerra e in assenza del padre, lontano da casa a combattere, parla con l’amico immaginario Adolf. La sua vita quotidiana con il nazismo e con la madre Rosie (S. Johansson) viene messa in crisi quando scopre che in casa sua è nascosta una ragazzina ebrea (T. McKenzie). Il neozelandese Waititi, già noto per il bizzarro What We Do In The Shadows e per la regia di Thor: Ragnarok, si ispira al romanzo Come semi d’autunno di Christine Leunens per mettere in scena un film grottesco al limite della farsa dove l’ironia spinta su ebrei e nazisti si abbina con bravura – anche se non senza qualche stucchevolezza – ai buoni sentimenti. Tante note alte e stonate messe insieme, a quanto pare, fanno, grazie alla bravura del regista e a un cast fenomenale, un’armonia particolare e indovinata, intrecciata a un contrappunto musicale originale – su tutti i brani le versioni tedesche di I Want To Hold Your Hands e di Heroes, cantate dai Beatles e da Bowie, che aprono e chiudono il film. Tutto senza mai dimenticare l’ironia, come quando Sam Rockwell (il personaggio più bello del film) si fa soldato in versione queer o come quando Jojo chiede cosa può fare per rendersi utile per il paese, e la sorvegliante, facendo riferimento agli esperimenti genetici nazisti, guarda un gruppo di ragazzini biondi tutti uguali e risponde: «Bè, potresti portare a spasso i cloni». A vuoto la candidatura di Scarlett Johansson come miglior attrice non protagonista e Oscar alla miglior sceneggiatura non originale per il regista Taika Waititi, che si ritaglia la parte di un Hitler immaginario buffo e sopra le righe.

Joker ★★½
Oscar: Miglior attore protagonista, miglior colonna sonora
Regia: Todd Phillips
Cast: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conroy, Brett Cullen
Guarda il trailer ► www.youtube.com/watch?v=o7nkJDjuSp4
Come Arthur Fleck (J. Phoenix), pagliaccio per le strade e gli ospedali di Gotham City, si trasforma nel Joker. Un film cupo e tristemente contemporaneo che racconta il volto umano dell’antieroe, che la società storpia e trasforma lentamente in una maschera. Todd Phillips aggiunge un altro tassello alla filmografia dell’universo dell’uomo pipistrello, riprendendo l’immaginario dagli illustri predecessori e rileggendolo in chiave sociale: il Joker non è più qualcuno che «vuole solo veder bruciare il mondo», come diceva Alfred ne Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, ma un reietto che dal mondo è stato rifiutato e che vi si scaglia contro. Il corpo di Joaquin Phoenix incarna questa (ri)pulsione violenta che contamina ciò che lo circonda marcando come la cosa più interessante di Joker, al di là di una parabola stanca e prevedibile dal minuto tre, sia la conseguenza sociale dell’esempio del “cattivo”: non è Joker ad uccidere i genitori di Bruce Wayne in un vicolo, è un suo epigono mascherato ispirato dai gesti del pagliaccio. Oscar al miglior attore protagonista per Phoenix (dopo le vittorie di SAG, BAFTA e Golden Globe) e per le belle musiche della compositrice islandese Hildur Guðnadóttir.
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Le Mans ’66 – La grande sfida ★★★
Oscar: Miglior montaggio, miglior montaggio sonoro
Regia: James Mangold
Cast: Matt Damon, Christian Bale
Guarda il trailer ► www.youtube.com/watch?v=NMb4RNMvVV0
L’impresa del progettista Carroll Shelby (M. Damon) che nel 1966 riuscì a battere la scuderia Ferrari con una Ford GT40 guidata dal britannico Ken Miles (C. Bale) alla storica 24 ore di Le Mans. James Mangold (Ragazze interrotte, Walk The Line, Quel treno per Yuma) dirige questo classico film sportivo con il piglio e l’energia del western, tenendo stretto il volante fino alla fine di una corsa di 150 minuti di cinema assemblati con mestiere. Damon e Bale sono un duo affiatato e lo spettatore – per noi italiani c’è la chicca di vedere rimessa in scena la Ferrari di Enzo, interpretato da Remo Girone – non fa fatica ad immedesimarsi in questa storia di successo e di amicizia virile. Un film muscoloso e elegante, teso come il corpo di Christian Bale che ancora una volta si fa carne (e scheletro) del film. Le sequenze delle corse automobilistiche, pur scandite da un classico montaggio alternato, sono corde di violino pronte a spezzarsi ad ogni strappo e si resta ammirati come Ford v Ferrari lavori di adrenalina senza mai perdere di vista l’emozione. Oscar al miglior montaggio di Andrew Buckland e Michael McCusker e al miglior montaggio sonoro di Donald Sylvester.

1917 ★★★½
Oscar: Miglior fotografia, migliori effetti speciali, miglior sonoro
Regia: Sam Mendes
Cast: George MacKay, Dean-Charles Chapman, Mark Strong, Claire Duburcq, Richard Madden
Guarda il trailer ► www.youtube.com/watch?v=uxi11hs-GMY
Svegliati da un sonno pomeridiano, due soldati inglesi (D.C. Chapman e G. MacKay) vengono mandati in missione al fronte per salvare 1600 commilitoni, tra cui il fratello di uno dei due, pronti a finire in una trappola dei tedeschi. Nonostante il grande impatto su pubblico e critica e la vittoria di tre premi Oscar, 1917 esce sconfitto da questa edizione, da grande favorito per miglior film e miglior regia porta a casa gli Oscar alla miglior fotografia (straordinaria) di Roger Deakins, i migliori effetti speciali di Greg Butler, Dominic Tuohy e Guillaume Rocheron, il miglior sonoro di Mark Taylor e Stuart Wilson. Si parla molto della grandezza del lavoro dietro al lungo piano sequenza mascherato (nel film ci sono alcuni stacchi di montaggio) che compone 1917, della mirabolante regia di Sam Mendes, ma nel celebrarlo per la sua grande maestria tecnica si è persa di vista la sua potenza emotiva, la forza della narrazione scarna, il trasporto di questo viaggio infinita e stremante oltre le linee nemiche. Un viaggio puntellato di ostacoli e di difficoltà, e di molti momenti di grande cinema: il primo attraversamento della trincea, la sosta dalla giovane francese con in braccio un bimbo non suo, il canto del soldato all’alba della battaglia, la corsa finale durante l’attacco. Incomprensibile la scelta di preferirgli C’era una volta… a Hollywood nel premio alla miglior scenografia, maestosa e impressionante nel ricreare con grande realismo le case distrutte e disabitate, le chiese in fiamme, i ponti abbattuti e le trincee di fango marrone e di ghiaia bianca. Dedicato alla memoria di Alfred H. Mendes, nonno di Sam, che combatté la prima guerra mondiale come messaggero al fronte e gli raccontò le sue storie.
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Parasite ★★★
Oscar: Miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior film internazionale
Regia: Bong Joon-ho
Cast: Song Kang-ho, Woo-sik Choi, So-dam Park, Sun-kyun Lee, Yeo-jeong Jo
Guarda il trailer ► www.youtube.com/watch?v=koiB4unMLvo
Una famiglia povera vive di espedienti e lavoretti finché il figlio maggiore (Woo-sik Choi) trova lavoro nella casa di una famiglia ricca. Approfittando dell’ingenuità della padrona di casa, complotta con i parenti per far entrare tutta la famiglia alle loro dipendenze. Bong Joon-ho arriva a Parasite dopo vent’anni di carriera nel periodo migliore della nouvelle vague sudcoreana – crescendo accanto a maestri come Kim Ki-Duk e Park Chan-wook –, dopo il capolavoro Memories of Murder (2003, ma in uscita italiana a febbraio 2020 col titolo Memorie di un assassino) e dopo alcune incursioni nel cinema americano tra cui il brillante Snowpiercer e il bizzarro Okja. Il suo settimo film è un compendio stilistico del suo percorso, che ibrida i temi del cinema made in Corea, il suo sguardo originale e l’impronta dello storytelling statunitense. Il risultato è folgorante, soprattutto per il modo aggressivo e violento con cui affronta il discorso sulla disuguaglianza sociale, un discorso che ha colpito il mondo intero, dal festival di Cannes che l’ha premiato con la Palma d’Oro ai Golden Globe in cui ha vinto il miglior film straniero fino agli Oscar, riuscendo nell’impresa di essere il primo film, nella storia degli Academy Award, a conquistare la statuetta per il miglior film straniero (da quest’anno “miglior film internazionale”) e quella al miglior film, nonché il primo film non in lingua inglese a vincere questo premio. Notevole, se pensiamo che la doppietta non era riuscita nemmeno a Michael Haneke con Amour. Oscar anche alla miglior sceneggiatura, scritta dallo stesso Bong Joon-ho con Han Jin-won, e alla regia, sebbene gli sguardi di 1917 di Sam Mendes e di Martin Scorsese in The Irishman fossero più originali e potenti.
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Storia di un matrimonio ★★★★
Oscar: Miglior attrice non protagonista
Regia: Noah Baumbach
Cast: Adam Driver, Scarlett Johansson, Laura Dern, Ray Liotta
Guarda il trailer ► www.youtube.com/watch?v=t6YNekYevQ0
La rottura di una storia del regista teatrale Charlie (A. Driver) e dell’attrice Nicole (S. Johansson) coinvolge una famiglia e due città: New York dove la famiglia vive, Los Angeles dove Nicole vuole tornare con il figlio Henry. Due poli raccontati come opposti artisticamente – il teatro sperimentale e la cultura newyorkese, la televisione senza pretese e la vuotezza losangelina – e visivamente – i grattacieli e le colline, il traffico e l’oceano. Storia di un matrimonio è un film semplice, elegante, e nella sua messinscena lineare e spesso asettica (quando si muove nell’appartamento vuoto di Charlie) lascia spazio alle interpretazioni degli attori, serviti da un testo splendidamente scritto dal regista Noah Baumbach. Tra gli Alan Alda e i Ray Liotta che animano  il film, l’Oscar alla miglior attrice non protagonista lo conquista Laura Dern, brillante e bravissima nel ruolo di uno spietato avvocato divorzista. Le vittorie come di Joaquin Phoenix in Joker e Renée Zellweger nel biopic (ancora) Judy su Judy Garland, di cui nessuno sentiva l’esigenza, mandano invece a vuoto le candidature di Adam Driver e Scarlett Johansson, due intrepreti straordinari nel restituire la dolcezza, l’amore e il dolore di una separazione – quella di un amore interrotto dalla vita ma non finito, come scrive Nicole nella sua lettera: «And I’ll never stop loving him, even though it doesn’t make sense anymore». I loro faccia a faccia sono di una bellezza dolorosa, e la regia di Baumbach la rispetta stando un passo indietro, senza mai mostrare il suo sguardo, restituendola in tutta la sua verità.
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