Boris Pasternak
Mosca, 10 febbraio 1890 – Peredelkino, 30 maggio 1960
Se a Pasternak, figlio di una coppia di noti artisti ebrei, piace all’inizio di farsi musicista, saranno le lettere a dettargli legge: tra suggestioni simboliste e futuriste, già prima della guerra Boris Leonidovič Pasternak pubblica raccolte di versi (Il gemello nelle nuvole, 1914). Ermetica e densa è la poesia d’Oltre le barriere (1917) e Mia sorella la vita (1922), i successivi volumi che, nel segno dello sperimentalismo linguistico, l’impongono quale maggior lirico russo della sua generazione. Entra allora nella narrativa, tra numerosi racconti e una ricca autobiografia artistica (Il salvacondotto, 1931), prima che l’aggravarsi del controllo statale sulla letteratura l’induca, negli anni Trenta, a tradurre e nulla più, da Shakespare a Goethe a Rilke, passando per i poeti georgiani (come lo è Stalin) che forse gli evitano le purghe; s’apre quindi, con la Grande guerra patriottica (1941-5), un’atmosfera nuova d’incerta libertà espressiva. Allora riprende voce il poeta; ma il narratore, silenzioso, lavora alla prosa lirica d’un grandioso affresco della Rivoluzione, epopea d’amore, peregrinazione, isolamento: rifiutato dagli editori sovietici malgrado il disgelo post-staliniano, Il dottor Živago sarà pubblicato in prima mondiale dall’italiano Feltrinelli (1957), ma il Nobel che gli vale Pasternak dovrà rifiutarlo per morire solo, dannato e immiserito nel Paese che solo sotto Gorbacëv vorrà riabilitarlo.
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