Bianchi e rossi per il futuro del Venezuela

Aumentano le vittime e le spaccature del governo post-chavista di Maduro

Giselle è morta. Le hanno sparato in faccia mentre aiutava a rimuovere una barricata dei manifestanti in un quartiere di Mérida, nelle ande venezuelane. Giselle, di origine cilena, aveva 47 anni e 4 figli. Negli occhi la rivoluzione bolivariana, studiava all’Universidad de Los Andes e marciava spesso in questi giorni con i suoi compagni operai, solidale all’operato del suo presidente Maduro, da sempre vicino alle classi più umili del Venezuela. Giselle ora non sostiene più il suo governo.
Fernando invece è agli arresti domiciliari. Da studente che crede nel futuro del suo paese è sceso in piazza con i suoi colleghi per dimostrare l’esasperazione del Venezuela e ha scoperto sulla sua pelle la risposta delle forze dell’ordine e della Guardia Nacional Bolivariana. Fernando ha trascorso alcuni giorni in carcere tra gli abusi e adesso non può più protestare in piazza né può rilasciare dichiarazioni di carattere politico alla stampa, tanto più a quella straniera. Oggi Fernando è un terrorista: ha manifestato il suo dissenso contro il regime post-chavista di Maduro.

La cronaca del Venezuela oggi ci parla di tanti Fernando e Giselle in un paese dove il dissenso verso l’operato del governo ha spaccato la popolazione in due fazioni (pro e contro Maduro); ad oggi il conto dei morti, tra scontri di piazza e repressione, ha raggiunto quota 29, mentre sono oltre 1.300 gli arresti per motivazioni politiche, tra cui la giornalista italiana Francesca Commissari poi rilasciata il 2 marzo. Il paese sudamericano è sprofondato nel caos nel primo anno dopo la scomparsa del presidente Hugo Chávez perché il suo successore designato, Nicolás Maduro, non ha dato prova dello stesso carisma e della stessa forza politica dimostrando ancora una volta come fosse Chávez stesso il vero centro di gravità del paese e non l’ideologia chavista, quel socialismo “del XXI secolo” che si è rivelato strumento di costruzione di un potere autocratico e clientelare, di una dittatura, quella di Chávez, “del XXI secolo”.
Maduro, ex-autista della metropolitana di Caracas dalla brillante carriera da sindacalista poi politico nelle schiere di Chávez, ha lasciato precipitare il paese nel caos nel suo primo anno da presidente eletto del Venezuela. Di statura nettamente inferiore rispetto a quella del Comandante, Maduro è scivolato prima in una serie di gaffe che ne hanno minato la credibilità – i venezuelani non dimenticano quelli che sono diventati veri e propri tormentoni nella satira, frasi come “los millones y millonas”, i milioni e le milione, oppure “la multiplicación de los penes”, la moltiplicazione dei peni. Maduro ha poi definitivamente scatenato il malcontento popolare a causa della manifesta incapacità del suo governo di implementare un programma di riforme per il paese: nei fatti la conferma di 15 anni di fallimenti della politica del Partito Socialista Venezuelano. Solo la retorica e la statura di Chávez, oliate dalle ingenti rendite petrolifere, erano riuscite a tenere insieme il paese, illudendo gran parte dei venezuelani di un imminente, in effetti mai raggiunto, sviluppo economico.

Caduto il Comandante e il velo di Maya, i venezuelani hanno visto precipitare la fragile economia del paese: il deprezzamento al mercato nero della valuta nazionale sul dollaro e un’inflazione insostenibile (il 58.1% a fine 2013) hanno alimentato la carenza di prodotti alimentari di base come riso, farina, latte, sale e gravi disservizi nelle principali città come l’interruzione dell’erogazione della corrente elettrica e dell’acqua potabile. In questo clima di emergenza, alla crisi economica si è aggiunto l’aumento vertiginoso della criminalità specialmente nelle grandi aree urbane come quella di Maracaibo, Valencia e della capitale Caracas: nel 2013 nel paese gli omicidi sono stati 23.763, uno ogni 20 minuti.
Alle manifestazioni di protesta Maduro ha mostrato il pugno di ferro incarcerando i promotori del dissenso, censurando senza remore tv locali e straniere (ritirate le credenziali ai giornalisti di CNN en Español) e limitando lo scambio di informazioni tramite i social network i quali si sono comunque rivelati i principali mezzi per l’epressione del dissenso anche tramite i popolari hashtag #SOSVenezuela, #Venezuela, #venezuelamueretucallas e #PrayForVenezuela.
Ma il regime si è spinto oltre avallando, non ufficialmente, la repressione delle proteste nel sangue e mietendo feriti e vittime non solo tra gli studenti. Grande rabbia e cordoglio ha suscitato l’uccisione lo scorso 19 febbraio di Genesis Carmona, la Miss Turismo unitasi ai manifestanti. Sparatorie improvvise e pallottole vaganti sono all’ordine del giorno in quartieri che diventano in tutto il Venezuela teatri di guerriglia con tanto di trincee e barricate. A San Cristóbal, una città di 260.000 persone roccaforte dell’opposizione, il governo ha dovuto mobilitare 3.000 uomini, tagliare l’elettricità all’intera città e minacciare l’uso dei caccia per fiaccare le proteste e rimuovere le barricate. Come ha scritto il New York Times, è una vera e propria guerra civile che si sta consumando tra le strade della città al confine occidentale del paese.
Ma se c’è un Venezuela che guarda oltre il chavismo, ce n’è un altro che ha celebrato in estasi, sotto gli auspici del governo, l’anniversario della morte del Comandante lo scorso 5 marzo. Le celebrazioni hanno richiamato fiumi di sostenitori di Chávez vestiti di rosso i quali hanno dimostrato ancora una volta come lo scomparso presidente sia odiato ed amato nel paese con lo stesso identico fervore. Un’infermiera di 60 anni giunta a Caracas dopo 11 ore di viaggio ha dichiarato ai giornalisti che «Dio lo ha scelto come ha fatto con Re Davide e Mosè» e che «Non è morto, vive nel mio cuore». E senza dubbio anche Maduro è ora nel cuore di moltissimi operai che ricevono direttamente dal governo i sussidi necessari all’acquisto dei beni di prima necessità, operai che marciano convinti sotto il rosso e i ritratti di Chávez e che credono che le difficoltà economiche del paese siano causate da attacchi speculativi dei capitalisti stranieri.

Dall’altra parte della piazza la protesta degli oppositori del regime ha, nonostante la degenerazione violenta, una radice pacifica e di chiara responsabilità politica: guidati dai loro leader, il candidato alle presidenziali sconfitto da Maduro Henrique Capriles e l’ex-sindaco di Chacao Leopoldo López, attualmente detenuto, i venezuelani vestiti di bianco sventolano le bandiere in un momento che sa di storia. Provano a spingere il paese in transizione verso una democrazia più matura, libera dai feticci della mitologia socialista e pronta ad una reale redistribuzione del reddito petrolifero come trampolino dello sviluppo. La trasparenza nell’operato del governo è tra le prime richieste di questi venezuelani che vogliono costruire un futuro senza Comandanti. Tra tante questioni, molto scandalo ha suscitato ad esempio la scoperta di presunti sussidi che, Chávez prima e Maduro poi, avrebbero versato ad altri stati, circa 30 miliardi di dollari l’anno principalmente verso Cuba e Nicaragua, destinati a foraggiare interdipendenza ed alimentare il prestigio regionale del Venezuela (così come Petrocaribe d’altronde): prestiti a fondo perduto che i manifestanti ritengono intollerabili viste le disastrose condizioni economiche in cui si trova il paese.
Nell’apparentemente insanabile divario tra bianchi e rossi per il futuro del Venezuela, tra la repressione e l’isolamento internazionale del governo di Maduro, la cronaca purtroppo continuerà presumibilmente a riportare di molti altri Giselle e Fernando, cittadini venezuelani che stanno lottando, sacrificando la loro libertà o la loro stessa vita per costruire il futuro che ritengono migliore per il loro paese: quel Venezuela che si ritroverà, in ogni caso, a piangere tutti i suoi figli.

 

Fernando Delgado, attualmente agli arresti domiciliari, è stato raggiunto
dalla redazione de L'Eco del Nulla
per un'intervista sulla sua incarcerazione
e il trattamento subito durante la reclusione, purtroppo a causa della sua delicata situazione
non è stato in grado di rilasciare una testimonianza diretta della sua storia


Un ringraziamento al Dott. Bruno Calore per la sua indispensabile collaborazione


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