Attraverso lo schermo
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Che cos’è uno schermo? È una superficie. Protegge o respinge come uno scudo; come un velo che alziamo o stendiamo, può mostrare o coprire; come una tenda scostata, un sipario calato, marca un passaggio tra spazi diversi, lo scadere o il prepararsi di un tempo. In ogni caso, è una superficie perpendicolare al nostro sguardo: il suo divenire definisce le possibilità di un viaggio dell’occhio, e quindi ciò che vediamo, come siamo visti, l’idea che ci facciamo del mondo, degli altri, di noi stessi. È un ricettacolo di identità individuali e collettive in formazione. Soprattutto se pensiamo agli schermi che definiscono il nostro tempo: quelli già tradizionali del cinema e della televisione, gli schermi nuovi dei computer e quelli, nuovissimi, che proliferano dall’avvento degli smartphone. Questi schermi proiettano, amplificano, trasmettono: canalizzano lo sguardo, decidono le identità. È di questi schermi che vogliamo parlare nel numero 8.1 de L’Eco del Nulla, per riflettere sui loro ruoli e significati, sulla loro natura ambigua e polisemica, e sui diversi futuri che promettono a seconda di come decidiamo di usarli.
C’è un primo schermo a cui pensare: è il “grande schermo”, di cui parlano Andrea Caciagli e Giulio Nassi. Caciagli si muove nel cinema che racconta il cinema, tra il regista cinese Zhang Yimou e Nuovo Cinema Paradiso. Mentre il dilagare dei servizi streaming impatta sull’industria cinematografica e ne orienta la fruizione verso il solipsismo e la passività, fin dalla sua nascita il cinema-al-cinema ha sempre suscitato una risposta emotiva forte e, soprattutto, collettiva: è grazie a questa se il grande schermo può arricchire la vita psicologica e sociale di una comunità. Perché il cinema svolga questa funzione, «dobbiamo curarlo, accudirlo, farlo crescere più grande che può, fuori dai piccoli schermi». Il fil rouge del nostro discorso intorno agli schermi è questo: una chiamata all’azione. Facendo leva su film che hanno sollevato polemiche per l’ambiguità del proprio messaggio, come Titane di Julia Ducournau, Nassi ci invita a non cedere al mero godimento estetico-visivo di film sempre più omologati delle piattaforme. Dovremmo invece dar voce al «vero senso dell’opera [che] prende forma nel non mostrato, nelle pieghe di quegli schermi». La più classica e, se si vuole, la più elitaria delle reazioni allo schermo cinematografico – l’interpretazione – assume un nuovo valore politico-sociale, specialmente se riusciamo a stemperare il suo carattere tipicamente individuale con modalità di fruizione collettive: il cinema in sala, il cinema all’aperto, il cineforum, tutte esperienze sociali agli antipodi del miglior Netflix and chill.
Il cinema non è però il solo schermo che conti. Altri schermi, di ogni forma e dimensione, ci circondano ogni giorno. Questa realtà si è fatta pressante con la pandemia, che ancora negli ultimi mesi – con il colpo di coda della variante omicron – ci ha riconfinato nelle nostre case. Gli scatti di Matteo Fiorino, accompagnati da brevi testi dei nostri redattori, contrappuntano questo numero e testimoniano in modo aforistico il confinamento filtrato dallo schermo fotografico, nonché l’intreccio tra le nostre vite e i mille schermi che le affollano. Qui non si tratta di invertire una tendenza, ma di introdurre pratiche capaci di sovvertirne le funzioni inerentemente nocive. Diletta Crudeli riflette sugli schermi come mezzo di comunicazione ma anche di produzione, come specchio attraverso il quale noi guardiamo il mondo ma anche il mondo ci guarda. Il risultato è un senso di riduzione dell’io alle mansioni sociali e professionali che via schermo ci vengono imposte e che ubbidienti svolgiamo: «La sensazione di isolamento, intorpidimento e sconfitta causata da minuscoli schermi che sono specchi del proprio malessere dà l’idea di essere circondati, e che ci sia ben poco da fare al riguardo». Di fronte alla minaccia che la selva di schermi rappresenta per la salute fisica e mentale, ci troviamo ad un bivio. Possiamo pensare di uscire dagli schermi per rientrare nella realtà, sperando che non si tratti di un’ennesima illusione. Oppure, possiamo usare gli schermi per trasformare la realtà.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che i “nuovi schermi” hanno anche un potenziale costruttivo. Alice Tonasso affronta il problema sul piano individuale, raccontando l’universo che ruota intorno al fenomeno del dating online. La “vetrinizzazione” della nostra immagine determinata dalla multiforme pratica del selfie, dai nudes che inviamo in chat alle transitions che spopolano su TikTok, ci dà «l’impressione di muoverci in una dimensione dove ci è possibile esporci pur salvaguardando la nostra intimità e riservatezza». Questa tattica dell’identità non si esaurisce però in una messa in mostra: fa parte di una manovra esistenziale e sociale che fa dello schermo un vero e proprio portale. Se sembra che la nostra generazione interagisca quasi solo tramite lo schermo è perché «forse è proprio in quello schermo che, tradita dalla realtà, ne può trovare un’altra a prezzo di mercato». Certo, la perfetta integrazione del dating online nel sistema del tardo capitalismo può giustamente far inorridire, ma spostare l’attenzione sul piano collettivo ci permette di riconoscere definitivamente una qualità progressiva ai “nuovi schermi”.
Nonostante il gravissimo problema della propaganda e della disinformazione, Vanni Veronesi ci ricorda che il web è diventato anche un accumulatore per pratiche virtuose di conoscenza. Nel momento in cui i media tradizionali, dai giornali alla televisione, hanno complessivamente ceduto al pressappochismo e al puro scontro ideologico, i social network favoriscono lo sviluppo di comunità in cui si riesce a fare corretta informazione scientifica: si ascolta, si discute, si verifica. L’affetto che lega i membri di queste comunità è il sintomo di «un fenomeno di fidelizzazione capace di formare una profonda consapevolezza scientifica». Ancora una volta, le risposte emotive di una “società dello schermo” possono essere qualcosa d’altro rispetto agli insegnamenti della Bestia di Salvini, e contribuire davvero alla crescita sociale e culturale della nostra comunità. Sapere come muoversi in questa società panottica, e saper mettere a frutto le sue principali componenti materiali nell’interesse collettivo, è indispensabile in un momento storico sovraccaricato di eventi globali come la pandemia o la guerra in Europa, che viviamo anche e sempre di più attraverso lo schermo.
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