Alessandro VI
Játiva, 1 gennaio 1431 – Roma, 18 agosto 1503
Allo zio Callisto III papa (1455-8), don Rodrigo de Borja y Doms deve l’ascesa: dal cumulo dei benefici di cardinale diacono e vice cancelliere della Chiesa (1456), infatti, cava l’ascendente e l’opulenza con cui, novello Simon Mago, si farà papa (1492). Perlopiù interessato a ricchezza e potere, politicamente oscilla tra Napoli e Milano, invano tenta d’addomesticare i baroni romani e, dopo aver tentato d’arrestarlo, accoglie servile Carlo VIII solo per stringergli contro una Lega Santa (1495). Se ha merito di mecenate del Pinturicchio e del Sangallo, di protettore di Manuzio, Leto e Lascaris e forse, morto il figlio Giovanni duca di Gandia (1497), sinceri propositi d’interna riforma della Chiesa, Alessandro VI è intrappolato, come molti papi nepotisti, da quella vita licenziosa e faccendiera che, finché campa, Savonarola frusta invocando un Concilio destitutore; soprattutto, dai precari rapporti di forza ch’egli stabilisce distribuendo cariche ai parenti, ai figli avuti da Vannozza Cattanei: sarà l’ambizione mordace d’uno di questi, Cesare duca di Valentinois, a subordinare negli ultimi anni la volontà pontificia alla costruzione d’uno Stato personale in centro Italia che, dopo frenetico intessere, avvelenare, confiscare e drenare danari da giubileo e crociata, cadrà per la morte del padre e la malattia del figlio.
Parte della serie Religiosi
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