Aleksandr Solženicyn
Kislovodsk, 11 dicembre 1918 – Mosca, 3 agosto 2008
Alla laurea in matematica conseguita all’Università di Rostov-na-Donu il giovane Aleksandr, figlio d’intellettuali cosacchi, affianca quella moscovita presa per corrispondenza in letteratura, finché la madrepatria lo chiama alle armi contro l’invasore occidentale (1941); è una lettera di critica conto Stalin (1945) a meritargli otto anni d’internamento nei campi di lavoro. Oltre a permettergli di rifarsi una vita a Ryazan come insegnante di matematica, la destalinizzazione avviata da Chruščëv (1956) lo spinge a presentare i suoi scritti al prestigioso periodico letterario sovietico «Novyj Mir»: ne uscirà Una giornata di Ivan Denisovič (1962), prima pietra del monumento che Aleksandr Isaevič Solženicyn vorrà offrire alla memoria dell’esperienza concentrazionaria sovietica, insieme agli altri che sul suo esempio da allora cominceranno a scriverne. A poco servirà il premio Nobel (1970) contro l’ostilità sempre maggiore delle autorità dopo la caduta di Chruščëv (1964): dovrà essere pubblicato a Parigi il primo volume di Arcipelago Gulag (1973), l’imponente opera storico-letteraria dedicata a quarant’anni di repressione organizzata che gli varrà il linciaggio a mezzo stampa, l’arresto e l’espulsione negli Stati Uniti (1974). Riammesso alla cittadinanza sotto Gorbačëv, tornerà in Russia (1994) dopo aver profeticamente indicato, come alternativa al regime sovietico, un paternalismo fondato sulle tradizioni del cristianesimo ortodosso.
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