Aldo Palazzeschi
Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974
Nell’esperienza del teatro, Aldo Palazzeschi trova l’inossidabile amicizia di Marino Moretti, l’evasione dagli studi d’economia cui dovrebbe sottomettersi (è ragioniere) e la consapevolezza d’una vocazione letteraria. Così, smesso il cognome Giurlani del quieto borghese ch’è suo padre, Palazzeschi poeta passa dal liberty de I cavalli bianchi (1905) alla reinterpretazione parodica del bagaglio crepuscolare, quando alla malinconia risponde la piega clownesca d’un poeta irridente (Chi sono?, da Poemi, 1909), germoglio umano de L’Incendiario (1910) che non chiederà «Lasciatemi sognare» come Gozzano, ma «E lasciatemi divertire!». Sull’indole rivoluzionaria di quest’approccio grottesco e sarcastico alla vita s’appoggia la militanza futurista che nel manifesto Controdolore (su «Lacerba», 1914) predica un’«allegria sovversiva»: alle seriose meditazioni crepuscolari, al perbenismo conformista Palazzeschi oppone l’attiva, profonda libertà di chi sa ridere di tutto. All’improvvisa rottura con Marinetti segue, nel dopoguerra, l’abiura dell’interventismo di Due imperi…mancati (1920), all’inizio d’una stagione di sola prosa che, come già nel futurista Codice di Perelà (1911) col suo protagonista fatto di fumo, Palazzeschi vivrà da narratore «straordinario»: indulgendo anche fortunatamente (Sorelle Materassi, 1934) nel «buffo» che irrompe nel quotidiano per smascherarne la dissimulata assurdità, ribadisce lo sguardo demistificatore del delicato «Saltimbanco» che nell'estrema vecchiaia tornerà alla poesia con l'ardito sperimentalismo della giovinezza.
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