Alberto Moravia

Roma, 28 novembre 1907 – Ivi, 26 settembre 1990

Leggendo i grandi della letteratura europea libero e capace, Alberto Moravia mette a frutto l’inerzia forzata che la tubercolosi ossea gli infligge traendo dall’adolescenza non titoli di studio, ma con Gli indifferenti (1929) un romanzo precoce eppure di tanto valore che subito la critica lo segnala per gli stessi motivi che spiacciono forte al regime fascista e ne faranno poi un pilastro della letteratura italiana del Novecento: vivificando il vocabolario del quotidiano con l’eleganza complessa della sintassi, il suo stile austero e sorvegliato sa infatti sostenere, nella trama d’una storia familiare, l’illustrazione del disfacimento morale e intellettuale che sotto il fascismo conosce la borghesia, incapace di slanci ideali e irrimediabilmente delusa e annoiata da sesso e danaro chiamati a sostituirli. Da quest’inalterato nucleo tematico, fondato sulle crisi d’identità, Moravia saprà cavare l’opera che per sessant’anni dedica a diagnosticare spietatamente, nella rappresentazione del dramma della purezza tradita, le patologie morali sempre diverse della società italiana nella trasformazione dal conformismo fascista (Il conformista, 1951) all’alienazione neocapitalista (La noia, 1960), trovando la propria estate nella sobrietà antonomastica, nel narrato solido e intelligente con cui descrive l’attentato perenne all’innocenza di personaggi socialmente deboli, ma liberi da complessi, il cui campione è forse Agostino (1944).  

 


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