Albert Camus
Algeri, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960
La Marna prende suo padre per dargli un’infanzia di stenti e all’università, dove pure brilla, lo tolgono anzitempo la debole salute e l’urgenza continua d’un lavoro – commesso, impiegato, attore per Radio Algeri. Qui, nella colonia natia, s’incarta in primi saggi (L’Envers et l’Endroit, 1938) la vocazione di scrittore e giornalista che, militante del PCF (1934) trapiantato a Parigi, lo vorrà nella Resistenza a guidare Combat (1944-48). In questi anni d’attivismo lisergico, da L’Étranger (1942) a L’homme révolté, passando per Le mythe de Sisyphe (1944) e La Peste (1947), si condensa l’elevatissima forma letteraria della “filosofia” d’Albert Camus: presa coscienza della mancanza di senso nell’esistenza dell'uomo – il cui destino, secondo l'«assurdo» caro all'esistenzialismo, si svolge irrazionale in una realtà ineluttabile – Camus imbocca una svolta volontaristica per fondare una «morale della rivolta» che, rifiutando ogni conformismo, sappia trovare nella solidarietà umana e nel riscatto dei derelitti l’occasione di salvare i grandi ideali di libertà e giustizia, verità e bellezza, e così conferire finalmente senso all’esistenza dell’uomo. Saldo sulla difesa indipendente della democrazia e sempre più libero da legami partitici, a questa risposta al tema sartriano dell’engagement Camus vorrà appartenere, oltre il Nobel che lo consacra sopra le polemiche (1957), fino alla prematura dipartita.
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