'80s Kids
Il ritorno degli anni Ottanta e lo sguardo dei bambini in Stranger Things e It
“Cos’è il genio?” “È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione”, diceva il Melandri in Amici Miei di Mario Monicelli. Era il 1975, ma la definizione rimane valida ancora oggi; talmente valida da poter essere applicata anche in dei contesti a cui probabilmente mai Monicelli avrebbe pensato. La grande macchina del cinema americano è passata nel corso degli anni da essere la fabbrica dei sogni a quella dei soldi, una grande industria votata solamente al profitto. Massimizzazione del profitto sopra a tutto: l’arte, la creatività, la critica, la qualità e persino il pubblico. E nonostante sia vista in modo negativo, a volte come il male assoluto, dagli addetti ai lavori e dai fruitori, continua comunque a fare soldi, ad avere successo e a prosperare. E allora proviamo a ribaltare il giudizio: se la più grande colpa di Hollywood, il suo più grande problema e difetto, fosse invece il suo più grande pregio? Se fosse proprio questa la molla che spinge il sistema al suo continuo rimodellamento per rimanere sempre sulla cresta dell’onda, nonostante i tempi e le mode del momento?
Se la più grande colpa di Hollywood, il suo più grande problema e difetto, fosse invece il suo più grande pregio?
Ciò che più di tutto guida le produzioni americane al giorno d’oggi è la nostalgia degli anni Ottanta e tutto ciò che li riguarda; dai protagonisti agli ambienti, passando per il metodo di scrittura delle storie. La più grande innovazione nella distribuzione di prodotti cinematografici è la nascita delle piattaforme digitali a pagamento. Non è un caso allora che la più ricca di queste ultime, Netflix, abbia trovato il suo più grande successo di pubblico nella serie Stranger Things , il più famoso e azzeccato revival anni Ottanta ora sulla piazza.
Stranger Things è la creatura nata dalla fonte di distribuzione più importante al mondo e dall’apoteosi della tematica più “ di moda” del cinema americano al giorno d’oggi. Ma non è questo che ha garantito alla serie un successo così straordinario, bensì la ripresa di un elemento: i bambini al centro della storia.
Ci sono state numerose pellicole nel corso del tempo che hanno riservato a dei bambini il ruolo di protagonisti, dimostrando la loro grande versatilità – si può pensare alla distanza, per esempio, tra Il sesto senso di M. Night Shyamalan e Mamma ho perso l’aereo di Chris Columbus – ed è nella nuova caratterizzazione del mondo infantile che risiede la grande intuizione dei fratelli Matt e Ross Duffer, creatori della serie.
I personaggi concentrano in loro stessi lo spirito della storia di cui sono protagonisti, riassumono il contesto, le atmosfere, i sentimenti che muovono i fili della storia e li esprimono al meglio, coinvolgendo tutti e diventando delle figure iconiche, la colonna portante di tutte le vicende raccontante. Questa particolare caratterizzazione si ritrova proprio in un film cult degli anni Ottanta (1985 per la precisione): I Goonies, diretto da Richard Donner, sceneggiato da Columbus ma ideato da Steven Spielberg, forse il primo autore che ha introdotto i bambini come protagonisti di un certo tipo di cinema, con Jurassic Park, Hook - Capitan Uncino e Indiana Jones - Il tempio maledetto, ma soprattutto con E.T. L’extraterrestre. Tutti film in cui l’elemento del bambino-protagonista esprime le sue enormi potenzialità, anche in ruoli secondari.
Stranger Things non nasconde le sue origini creative, tanto che nella seconda stagione troviamo nel cast Sean Astin, protagonista de I Goonies, che recita persino una battuta che rimanda al personaggio interpretato nel film – di fronte a una mappa con una X si chiede: «Yeah? What’s the X? Pirate treasure?». Dunque cos’è il genio? Creare una serie che permette allo spettatore di immergersi nel mondo degli anni Ottanta grazie ad una storia scritta secondo i canoni dell’epoca, con tematiche identiche a quelle dell’epoca, modo di parlare, interessi, rimandi storici e un cast di adulti in stato di grazia – Winona Rider e David Harbour straordinari – che affiancano tutto quel mondo infantile, rappresentato da Mike, Will, Dustin, Lucas e Undici, che era il cuore pulsante delle pellicole anni Ottanta. Un mondo infantile più variegato, più complesso e più ricco grazie alla composizione data dai suoi personaggi, ognuno con un suo temperamento fortemente delineato e una sua storia personale tali da permettergli di superare l’importanza che raggiunse all’epoca.§
La battuta di Bob in Stranger Things - What’s the X? Pirate treasure? - richiama direttamente I Goonies, di cui l'attore Sean Astin era stato protagonista nel 1985
Perché di nuovo ce n’è eccome. Perché sebbene la scomparsa di Will sia una chiave semplice per mettere in moto tutti gli eventi, essa riesce perfettamente ad esplorare diversi generi, dalla commedia all’avventura, dall’horror alla fantascienza. Perché c’è l’outsider Undici, la bomba ad orologeria che slega e poi riallaccia i fili relazionali tra tutti i personaggi. E perché c’è anche la capacità di approfondimento e evoluzione di personaggi inizialmente secondari, come Steve Harrington.
Insomma il successo è strepitoso. Ovunque sui social si vedono quotidianamente Gaten Matarazzo e Millie Bobby Brown, protagonisti della serie Netflix. Un successo che va oltre i meriti strettamente drammaturgici degli attori – minori rispetto a prove attoriali come quelle di una Natalie Portman in Léon di Luc Besson o di un Leonardo Di Caprio in Buon compleanno mr. Grape di Lasse Hallström. Hollywood decide di cogliere la palla al balzo e di ridare vita ad una delle storie in cui i bambini recitano maggiormente il ruolo di protagonisti: It, pellicola tratta dal famoso romanzo di Stephen King e già portata su schermo con il film tv del 1990, con la grande intepretazione di Tim Curry nel ruolo del pagliaccio Pennywise, unica nota felice di quello sceneggiato. La scelta di continuare questo revival dell’età infantile non resta tra le righe, ma è sbattuta in faccia allo spettatore: tra gli attori ingaggiati per interpretare i bambini del “Club dei perdenti”, i protagonisti che si battono contro Pennywise, c’è Finn Wolfhard, il Mike Wheeler di Stranger Things.
Watching STRANGER THINGS is watching Steve King's Greatest Hits. I mean that in a good way.
Stephen King
Come da uso hollywoodiano la storia si divide in due parti, ma la prima, a differenza sia del libro che dello sceneggiato tv, si concentra solo sulla linea temporale in cui sono i protagonisti da piccoli ad affrontare il terrore causato dalla comparsa del pagliaccio più famoso e terribile del mondo. Il risultato anche questa volta è stupefacente. La grande interpretazione di Bill Skarsgård, la grande campagna commerciale in America (il bambino con l’impermeabile giallo e il palloncino rosso in mano è diventata un’immagine iconica) e la scelta azzeccata della tempistica dell’uscita del film ha permesso di cavalcare l’onda di questa incredibile riattualizzazione degli anni Ottanta e della figura del bambino eroe, coprendo i difetti di un film in generale modesto. Ulteriore merito delle case di produzioni hollywoodiane. It: Capitolo Uno di Andrés Muschietti è diventato il film horror con i maggiori incassi della storia del cinema, battendo proprio Il sesto senso, altro segnale che la linea decisa dalle produzioni hollywoodiane non è stata scelta a caso. E quindi, a costo di annoiare, cos’è il genio? Proprio così, è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. Perché sebbene Hollywood possa far storcere il naso a tanti, l’industria americana dimostra ancora una volta di essere sempre in grado di rinnovarsi e adattarsi all’epoca con cui si trova a fare i conti, mantenendo gli incassi alti e le poltrone occupate.
Commenta